Itinerario nella città vaticana, a Roma e nella sua provincia

In barca sul Tevere con Caronte

Le tappe dell’itinerario

Il primo itinerario tra le immagini dell’Aldilà inizia obbligatoriamente dalla potente visione michelangiolesca della Cappella Sistina. E’ senza dubbio l’immagine più nota, più vista, più diffusa dai motori di ricerca, più cliccata. Il Giudizio finale di Michelangelo spalanca le porte su un percorso che parte dalla Città del Vaticano, s’irradia tra le antiche strade di Roma alla ricerca di auguste basiliche, celebri musei e appartati conventi, si spinge nei borghi e nelle storiche città della provincia romana per poi rientrare e chiudersi nella meditazione di alcune moderne immagini proposte da artisti contemporanei. Un percorso quindi di andata e ritorno, di diastole e sistole nel “cuore” della cristianità.


Il Giudizio universale di Michelangelo


La grandiosa composizione del giudizio universale è stata realizzata da Michelangelo tra il 1536 e il 1541 sulla parete di fondo della Cappella Sistina. Gesù è al centro della scena, giudice dell’umanità. Con un gesto imperioso, cui anche la Madre si sottomette, egli scaglia il suo verdetto di condanna e di salvezza. Il gesto divino mette in moto e anima l’intera scena. Al suono delle trombe i morti si risvegliano nelle loro sepolture, si liberano del sudario, si ricoprono di carne, riacquistano la vita. Gli angeli aprono i libri che raccontano tutte le opere compiute nel bene e nel male dai risorgenti. In cielo angeli e demoni si disputano i risorti. In una gara di solidarietà gli angeli aiutano nell’ascesa al cielo i risorti più lenti e ancora appesantiti dalla pena da espiare. All’ascesa degli eletti corrisponde la caduta dei dannati, trascinati dai diavoli verso l’inferno. La barca di Caronte traghetta i dannati sui fiumi infernali e li scarica con violenza plebea al cospetto di Minosse. L’inferno non è descritto: se ne vedono solo alcune cavità d’accesso popolate di demoni. In alto l’intero Paradiso assiste al giudizio divino. Gli angeli sollevano faticosamente e mettono in mostra gli strumenti della passione di Gesù: la croce, la corona di spine, la colonna della flagellazione, la scala e la canna con la spugna imbevuta d’aceto. I personaggi che Michelangelo ha inserito nel giudizio sono oltre quattrocento. Alcuni sono facilmente riconoscibili grazie agli oggetti che li identificano: Pietro ha le chiavi in mano, il buon ladrone Disma, Andrea e il cireneo portano la loro croce, Lorenzo ha la graticola, Caterina d’Alessandria raccoglie la ruota rostrata, Bartolomeo esibisce la pelle che gli è stata scorticata, Sebastiano mostra le frecce.

Proviamo però a resistere alla tentazione di perderci nel labirinto dell’affresco, di analizzare l’inesauribile ricchezza dei particolari e le innumerevoli tessere che compongono il puzzle buonarrotiano. E andiamo alla ricerca dei significati. Il nostro itinerario parte dalla Cappella Sistina perché riteniamo che il Giudizio di Michelangelo sia uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo” e si caratterizzi come la svolta definitiva nell’interpretazione iconografica del tema apocalittico. Ciò vale sia per gli aspetti formali sia per gli aspetti estetici, sia per gli stessi significati storico-religiosi.

Dal punto di vista formale Michelangelo rompe gli schemi statici, le griglie rigide e le forme geometriche cui s’ispiravano i Giudizi della tradizione occidentale e di quella bizantina. Alle interpretazioni statiche e alle figure ieratiche Michelangelo sostituisce il movimento, il dinamismo dei personaggi, la chiave di lettura circolare, la combinazione di flussi ascensionali e discensionali. Il nuovo dinamismo s’intreccia con particolari “irrituali”, di rottura della tradizione: l’assenza della Trinità, il trionfo del nudo, gli angeli privi di ali, la scomparsa del tribunale celeste, i santi senza aureola, l’inserimento dei personaggi “pagani” dell’oltretomba classico come Caronte e Minosse.

Dal punto di vista estetico è l’esibizione della corporeità a colpire l’osservatore. Questa personale affermazione di libertà, questa scelta estetica dell’artista di ostentare il corpo costò a Michelangelo violente ostilità, pesanti censure (le famose “braghe” messe ai nudi), accuse di immoralità e di eresia. A risarcimento valgono però le parole che Giovanni Paolo II pronunciò nell’omelia della celebrazione eucaristica per l’inaugurazione del restauro dell’affresco l’8 aprile 1994. Se è vero – dice il Papa - che il corpo rappresenta la kenosis di Dio e che nella raffigurazione artistica dei misteri divini deve esprimersi la grande umiltà del corpo affinché ciò che è divino possa manifestarsi, è anche vero che Dio è la fonte della bellezza integrale del corpo. Sembra – osserva ancora il papa – che Michelangelo, a suo modo, si sia lasciato guidare dalle suggestive parole del Libro della Genesi che, a riguardo della creazione dell’uomo, maschio e femmina, rileva: “erano nudi, ma non ne provavano vergogna”. La conclusione del Papa è folgorante. La Cappella Sistina è proprio – se così si può dire – il santuario della teologia del corpo umano. Nel rendere testimonianza alla bellezza dell’uomo creato da Dio come maschio e femmina, essa esprime anche, in un certo modo, la speranza di un mondo trasfigurato.

Il terzo criterio di lettura è quello storico-religioso. La libertà interpretativa di Michelangelo non riesce a farsi “imbragare” dall’iconologia controriformista: il dubbio e il dramma erompono proprio dove l’ideologia corrente voleva invece sottolineare le certezze teologiche, l’ordine delle gerarchie, la pedagogia della paura, la geometria del dogma. Nel momento finale della storia, il Giudizio di Michelangelo coglie tutti gli uomini ancora in lotta, alle prese con il bilancio della propria vita, raffigurati nell’estremo tentativo di sfuggire alla perdizione o nella fatica di conquistare il premio. In Michelangelo non c’è ancora l’aldilà; non c’è ancora la perfetta beatitudine; l’inferno è ancora all’orizzonte. Michelangelo cerca - e invita noi a cercare con lui - il senso delle cose ultime.

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