Itinerario nella provincia di Venezia

Venezia. Quattro icone dell’Istituto Ellenico

Le tappe dell’itinerario

Venezia ha accolto nei secoli una folta colonia di greci, formata da mercanti e da esuli che fuggivano dalla minaccia turca, in particolare dopo la caduta di Costantinopoli. Nel 1498 fu fondata la Confraternita dei Greci Ortodossi (o Nazion Greca) che avrebbe avuto come patrono San Nicolò. Oggi l’antica sede veneziana della Confraternita ospita l'Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini, frequentato da ricercatori greci e specializzato nello studio della storia dei territori greci sotto dominazione latina. All’Istituto è collegato un museo di icone bizantine e postbizantine, frutto di donazioni di membri della Confraternita e di altri ortodossi; molte icone furono trasportate a Venezia da profughi e altre vi furono dipinte da iconografi greci. Tra queste spiccano le opere di Michele Damaskinòs, Giorgio Klonzas, Emanuele Lambardos, Teodoro Pulakis, Emanuele Tzanes Bunialìs. Passiamo in rassegna quattro di queste icone che propongono la visione della seconda venuta di Gesù e del giudizio universale.


Il Giudizio universale del prete cretese Giovanni Apakas (fine del secolo XVI)


La visione dell’ultimo Giudizio è declinato in una strip di scenette isolate. In alto è raffigurata la Deesis del Giudice con i due intercessori. Gesù ritorna sulla terra in una mandorla di luce sfavillante e siede sull’arcobaleno della nuova alleanza, circondato da una corona di soffici batuffoli di cirri abitati da serafini e cherubini; la doppia sentenza di salvezza e dannazione è simboleggiata dalla posizione delle mani, la destra sollevata nel gesto della benedizione e la sinistra abbassata nel gesto che respinge e allontana i malvagi. La Madre mostra al Figlio l’umanità risorta impetrandone la misericordia; e così anche Giovanni Battista il precursore, raffigurato nell’abbigliamento selvaggio dell’eremita nel deserto. La Deesis è affiancata da due spalti nuvolosi gemelli sui quali si affacciano gli angeli tubicini e quelli che mostrano i libri aperti delle opere buone e cattive. Sotto il Giudice è rappresentata l’ostensione della croce e degli strumenti della passione (la lancia, la canna con la spugna, i tre chiodi e il titulus crucis). I dodici apostoli formano il tribunale celeste e siedono su due lunghe panche. Due recinti di nuvole accolgono la folla dei beati e le diverse nazioni: gli abiti e i copricapi consentono di riconoscere i monaci, i patriarchi della chiesa ortodossa, i sovrani, i martiri, le donne sante. Uno spazio separato è destinato al patriarca Abramo che accoglie nel suo grembo l’anima del povero Lazzaro. In basso, come in un formicaio didattico, vediamo le dimore dei morti inumati: gli scheletri si rianimano, si rivestono di carne e tornano alla vita. L’arcangelo Michele respinge i dannati minacciandoli con la sua spada fiammeggiante. Un fiume di fuoco travolge i dannati e li spinge tra le braccia dei diavoli. L’Inferno è tradotto in due immagini. Da un lato vediamo Babilonia, la città infernale in fiamme; al suo fianco vediamo il lago di fuoco originato dal fiume infernale, traversato dalla barca che traghetta i dannati e popolato da peccatori che galleggiano sulle fiamme mostrando i copricapi dei nemici della chiesa ortodossa.


Il Giudizio universale di Franghias Kavertzas (secolo XVII)


Nel confronto con l’icona di Apakas il Giudizio finale di Kavertzas è ben più ampio, affollato e ricco di particolari. Nella prima fascia in alto ritroviamo la Deesis con il Cristo parusiaco che giudica i risorti seduto sull’arcobaleno, affiancato dagli intercessori in piedi, dagli apostoli seduti sui troni del tribunale celeste e dalle legioni di angeli schierati alle spalle dei troni. Ai piedi di Gesù vediamo il tetramorfo dei quattro esseri viventi della visione di Ezechiele: essi hanno i libri dei Vangeli in mano e sono dunque i simboli dei quattro evangelisti (l’aquila di Giovanni, il leone di Marco, l’angelo di Matteo e il bue di Luca); i due personaggi inchinati sono Adamo ed Eva, i progenitori. La scena immediatamente sottostante mostra l’ostensione della croce e dei simboli della passione, l’apertura dei libri della vita, delle opere buone e delle opere cattive, e il suono delle trombe che gli angeli tubicini rivolgono ai quattro angoli del mondo per chiamare i morti al risveglio. L’arcangelo Michele è il protagonista della psicostasia: egli pesa sulla bilancia a doppio piatto le opere buone e cattive di ciascuno – simboleggiate da rotoli scritti – e con la spada sguainata tiene a bada i demoni che cercano di condizionare gli esiti del giudizio. Il Paradiso comprende tre gruppi di beati, ordinati sulle nuvole e presidiati da angeli. Evidenza particolare è data ai santi martiri innocenti, a Lazzaro fratello di Marta e Maria fatto risorgere da Gesù e al patriarca Abramo che porta nel grembo l’anima del povero Lazzaro della parabola lucana. Di fronte ai beati sono i gruppi nazionali in attesa del giudizio. La risurrezione dei morti è rappresentata in tre modalità: risorgono dalla terra i corpi degli inumati; le bestie feroci vomitano le carogne umane che avevano divorate; il mare restituisce i corpi degli annegati e delle vittime dei naufragi delle navi. Vediamo anche i segni della fine del tempo, profetizzati da Gioele e Isaia: il sole e la luna perdono luminosità; un angelo stacca il firmamento con le stelle e lo arrotola. Il profeta maggiore Daniele è raffigurato disteso in basso al centro mentre testimonia ciò che ha veduto. Seguono scene apocalittiche: Babilonia la prostituta a cavallo della bestia, il cavallo nero della morte con la falce, l’angelo sterminatore, i re della terra a cavallo dei mostri apocalittici. Sul fondo dell’icona compaiono le immagini del Paradiso e dell’Inferno. Il Paradiso è rappresentato nella forma urbana della Gerusalemme celeste. Sulle scale della porta, Gesù accoglie un doppio corteo di beati: a sinistra sopraggiungono i beati del nuovo testamento, mentre a destra arriva il corteo dei giusti del vecchio testamento (si riconoscono il buon ladrone Disma e Giovanni il Battista). Rilievo particolare è dato alla presenza della Madonna (che benedice dalla porta della cappella a sinistra) e alla badessa del monastero offerente. Dietro le mura merlate s’intravvede il giardino dell’Eden con i fiori, le piante, gli alberi e i quattro fiumi paradisiaci. L’Inferno è alimentato da un fiume di fiamme che scende fin nella gola del drago. I dannati cadono nel fiume e sono trascinati dal vortice sul fondo dove trovano i diavoli che li stivano con i forconi nella bocca del Leviatano eruttante sulfurei  vapori dalle nari. Altri diavoli, guidati da Lucifero sul carro, si caricano i dannati sulle spalle (si noti il superbo con la corona regale) e li scaricano tra le fiamme.  Sono infine descritti i castighi infernali: i teschi secchi che servono da nido alle vipere un ambiente tetro e buio; la pena del verme applicata a un carnaio di corpi addentati e stritolati da grandi serpenti.


Il Giudizio universale di Giorgio Klontzas (fine del secolo XVI)


Il Museo ellenico conserva due opere del pittore cretese Giorgio Klontzas. La prima è un’icona di grande interesse, fittissima di personaggi che partecipano all’ultimo Giudizio, sapientemente ordinati e distribuiti nei diversi comparti della tavola. L’immagine del Cristo parusiaco è tratta di peso dalla visione del profeta Ezechiele. Gesù indossa una veste dorata che lascia in evidenza le cinque piaghe e siede nella mandorla sull’arcobaleno della nuova alleanza accompagnato dai cherubini. Ai suoi piedi sono i quattro esseri viventi che corrono sulle ruote viste da Ezechiele. I quattro esseri alati sono un angelo, un’aquila, un leone e un bue; ognuno di loro reca un libro del vangelo e sono dunque identificabili come i simboli dei quattro evangelisti Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Ai fianchi del giudice stanno Maria e Giovanni Battista, nel ruolo di avvocati difensori, e i dodici apostoli (seduti su troni con suppedaneo), preceduti da Pietro e Paolo, nel ruolo della corte del tribunale. Alle spalle degli apostoli sono i nove cori degli angeli. L’etimasia è sintetizzata in un magnifico trono vuoto, sormontato dalla croce. Ai lati del trono due nubi sostenute dai serafini reggono gli angeli che hanno l’incarico di suonare le trombe che chiamano i morti alla risurrezione e che aprono i libri dove sono elencate le opere compiute in vita dai risorti. I beati sono ordinati su tre livelli. Il primo gruppo è formato dal corteo dei giusti del vecchio testamento: in testa sono i progenitori Adamo ed Eva (tra i loro piedi s’insinua il serpente tentatore del peccato originale), seguiti da Noè col modello dell’arca, dal piccolo Isacco e da Abramo che regge il coltello del sacrificio del figlio, dal re Davide che suona l’arpa, da Mosè con le tavole della legge, dal sommo sacerdote Melchisedec col turibolo dell’incenso, dal centurione romano convertito, da Giacobbe con la scala e dal buon ladrone Disma con la sua croce. Gli altri due cortei comprendono i sacerdoti, i re, i martiri e le donne sante. Sul fondo dell’icona, a sinistra, vediamo la scena della risurrezione dei morti sotto lo sguardo del profeta Ezechiele: nella valle delle ossa aride, gli scheletri si ricompongono, le mummie si rivestono di carne e tornano alla vita. Sul lato opposto vediamo l’arcangelo Michele che respinge la schiera supplice e disperata dei dannati. Si staglia poi il profilo della città infernale Babilonia con le cupole e gli archi in fiamme. Uno stormo di diavoli volanti accorre a prendere in consegna i dannati e a buttarli nella gola mostruosa del Leviatano. Sotto lo sguardo di un profeta, vediamo il fiume di fuoco che scende dal trono ad alimentare il lago infernale e le bestie dell’Apocalisse che si scatenano nel carnaio dei viziosi. Lucifero cavalca il drago e regge in mano il serpente tentatore. Ai dannati viene applicata un anello di ferro al collo: legati da una lunga catena sono trascinati all’inferno da un ghignante diavoletto nero.


Il trittico del Giudizio universale di Giorgio Klontzas (fine del secolo XVI)


La seconda opera di Klontzas conservata nel Museo ellenico è un trittico formato da una pala centrale e da due ante laterali, chiudibili grazie a quattro anelli cerniera. Una cimasa dorata sovrasta la pala centrale e racconta in quindici tondi dipinti altrettante storie della Genesi, dalla creazione del mondo al peccato originale, dai fiumi del paradiso alla cacciata dei progenitori dall’Eden. Il pannello centrale vede in alto la manifestazione del giudice seduto sui cherubini, affiancato dagli intercessori, dai due arcangeli e dagli angeli. Il tribunale degli apostoli, seduti sui troni, è decentrato nelle lunette delle due ante laterali. L’etimasia non è raffigurata, ma è sostituita dall’ostensione della croce simbolo del sacrificio di Gesù; la croce è sorretta da Adamo ed Eva (che schiacciano sotto i piedi il serpente tentatore del peccato originale) e riceve l’omaggio dal corteo dei giusti dell’antico testamento. Tra quest’ultimi si riconoscono Noè (con l’arca), Melchisedec (con il turibolo), Abramo col figlio Isacco (che porta la fascina di legna del sacrificio sulle spalle) e Mosè (con le tavole della legge). Ancora sulle nubi vediamo a sinistra il gruppo degli angeli trombettieri e a destra gli angeli che aprono i libri del Giudizio. Segue la scena della psicostasia: l’arcangelo Michele, vestito nell’elegante divisa di condottiero delle milizie celesti, pesa sulla bilancia a doppio piatto le opere buone e cattive trascritte nei rotolini di carta. Ai suoi piedi è il gruppo dei risorti che attende il giudizio. Gli angeli provvedono a formare il corteo dei beati e ad avviarlo verso il paradiso. Dal lato opposto diavoli neri ammanettano i dannati e li portano in corteo nel fiume di fuoco che scende dai piedi del Giudice. L’anta laterale sinistra descrive due lunghi cortei di beati che accolgono i sacerdoti, i re guerrieri, i martiri, i solitari, le monache e i monaci, i santi della tradizione orientale. In basso è raccontata la risurrezione dei morti, arricchita dalla scena dell’ascesa dei risorti nudi o sommariamente rivestiti. Il pannello laterale destro riporta un unico corteo di beati, ma incorpora un piccolo spazio dedicato al padre Abramo che tiene in grembo l’anima del povero Lazzaro. Segue la scena grandiosa dell’incendio della città infernale di Babilonia: i suoi abitanti in fuga sono raccolti dai demoni e trascinati nel baratro. Altri dannati attendono sulle rive del lago infernale la barca di Caronte che li traghetterà attraverso la palude di fuoco. Per tutti il destino è la bocca del drago, la gola del Leviatano infernale.

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