Itinerario nella provincia di Venezia

Venezia. La visione infernale del Civetta

Le tappe dell’itinerario

Aggirandoci nelle sale del Palazzo Ducale di Venezia, straordinario contenitore di opere d’arte, ci fermiamo davanti a una tela che propone l’impressionante visione infernale di un pittore fiammingo, emulo di Bosch. Si tratta del cinquecentesco Herri Met de Bles, detto il Civetta. La sua visione descrive l’arrivo all’Inferno di un immenso corteo di dannati, in un quadro apocalittico di catastrofi atmosferiche, di astri che si oscurano, di cieli tempestosi e d’incendi furiosi. L’Inferno in primo piano è un brulicante formicaio di dannati torturati da mostri demoniaci. Possiamo ‘leggere’ il quadro fermando l’attenzione sulle più appariscenti immagini demoniache, quasi che esso fosse un terrario di entomologia diabolica o un manuale di zoologia fantastica. Come non restare ‘affascinati’ dall’invasione di farfalle, libellule, scarafaggi, lucertole, scorpioni, topi, ragni, vermi, lumache, per non parlare dello sciame di locuste volanti che si abbatte sulla terra. Come non restare sconcertati e ammirati dalla fantasia teratologica che combina umanoidi, pesci, uccelli, galli, creando un merging di zombies sorprendenti prima ancora che spaventosi.

Un secondo modo di ‘leggere’ il quadro prende di mira i peccatori ed esamina le pene loro inflitte dal codice penale luciferino. Si guardi ad esempio ai golosi, cui per contrappasso è imbandita una mensa di repellenti rettili, viscidi serpenti e rospi di palude. O si guardi anche a peccatori non tradizionali come il ludopatico giocatore di dadi o i contravventori del terzo comandamento che invece di santificare la domenica restano pigramente a poltrire a letto.

Pietà l’è morta, si dovrebbe concludere di fronte al sadico panorama di corpi penetrati, squartati, tagliati, appesi, bruciati, arrostiti, affumicati, piagati, strangolati, decapitati, impalati. Un trionfo del male, un’orda vandalica, un’alluvione inarrestabile di crimini demoniaci, un eccidio di massa, cui si oppone pateticamente un velleitario e solitario arcangelo guerriero, rara avis in gurgite vasto.


E un premio a chi scova la civetta, firma del pittore!


Vorrei però attirare l’attenzione sulla scena in secondo piano e cioè la città in fiamme, l’inferno urbanizzato. Nel medioevo l’inferno era uno sheol sotterraneo, situato in una grande caverna nelle viscere della terra. Nei secoli successivi l’inferno mostra i segni di una sua progressiva urbanizzazione. In questa tela vediamo gli edifici, le mura, le torri, innalzati nelle regioni infernali, tra le valli e le paludi, tra le masserie e i campi, tra i fiumi e i monti della complicata geografia infernale. L’inferno è uscito allo scoperto, emerge dal sottosuolo e si colloca all’aperto, a fianco delle città degli uomini. Trionfa l’inferno raffigurato come una città in fiamme. Bosch ne è stato il suo iconografo profeta. E il Civetta lo segue. L’Inferno è la rappresentazione di una città divorata dal fuoco, in preda a fiamme distruttrici, vittima di un furibondo incendio che ne distrugge le case e, con esse, il marciume dei suoi perversi abitanti. Il pittore urbanista ha in mente alcune tra le più famose città infernali alle radici della storia dell’occidente: la Babilonia in fiamme dell’Apocalisse, la Sinagoga di Satana, la dantesca Città di Dite, l’agostiniana Città di Satana e le progenitrici di tutte le città infernali, le bibliche Sodoma e Gomorra.

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