Itinerario nella provincia di Venezia

Venezia. Le visioni escatologiche nella Basilica di S. Marco

Le tappe dell’itinerario

La Basilica di San Marco è la cattedrale di Venezia e la sede del Patriarca. L’immagine della piazza, del campanile, della sua facciata con le cupole sullo sfondo è una delle ‘cartoline’ più fotografate in Italia. Nel principale monumento della città, autentica enciclopedia d’arte cristiana, proponiamo un tour a soggetto, dedicato alle immagini dell’aldilà.


Il Giudizio finale sulla facciata


Il primo incontro con l’escatologia cristiana avviene esattamente all’ingresso della basilica. La terza arcata, quella centrale, accanto agli importanti cicli di sculture romaniche, mostra un grande Giudizio finale realizzato nella semicalotta dell’arco, con le due scene della Deesis e della risurrezione dei morti. Il mosaico originale è stato rifatto nel 1836-8 da Liborio Calandri su cartone di Lattanzio Querena. Gesù scende dal cielo e viene a sedersi sulle nuvole, aiutato da un angelo e osservato dai serafini, per pronunciare la sua sentenza sul destino dell’umanità. Indossa una tunica bianca e un mantello azzurro; mostra le ferite della passione e ha un nimbo luminoso crociato sul capo; con la mano sinistra abbraccia la pesante croce del suo martirio, agevolato da un angelo. Ai lati i due intercessori pregano in ginocchio: sono la madre Maria, col capo velato e le mani incrociate sul cuore, e Giovanni Battista il precursore, con la croce astile e l’abito eremitico. Due angeli tubicini suonano le trombe che chiamano i morti a risorgere. E vediamo infatti i corpi risorgenti che si sollevano dalle tombe e si liberano dei sudari mortuari. A sinistra i risorti acclamano al giudice ed elevano preghiere di ringraziamento: sono gli eletti. A destra i risorti hanno i capelli dritti e mostrano gesti di spavento: sono i dannati.


La discesa al Limbo


La scena dell’Anastasis ricorre due volte nella Basilica di San Marco. La prima si trova sulla facciata esterna, nella seconda lunetta da sinistra, in alto. Gesù Cristo con le piaghe della passione, il sudario svolazzante e il vessillo della vittoria sulla morte, abbatte le porte dell’inferno guardate da un inquietante diavolo e libera gli spiriti dei giusti: Mosè con i corni di luce sul capo e le tavole della legge, il buon ladrone con la croce, Adamo ed Eva con i fianchi cinti di foglie di fico, il re Davide e altri vegliardi. L’iscrizione latina spiega l’immagine: visitat infernum regnum pro dando supernum patribus antiquis dimisis Christus iniquis quis fractis portis spoliat me campio fortis.

La seconda scena si trova sulle volte sotto la cupola dell’Ascensione. Anche qui vediamo il Cristo trionfante con la croce in mano che prende per mano Adamo ed Eva e li libera dalla prigione, attirandoli a sé. Gesù ha sfondato le porte dell’inferno, che giacciono rotte a terra tra una miriade di chiodi, cerniere e chiavistelli, e schiaccia sotto i piedi il diavolo canuto che le vigilava. La scena è osservata dai re e dai sapienti dell’antico testamento e commentata da un’iscrizione ispirata a Osea: «Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte. Dov'è, o morte, la tua peste? Dov'è, o inferi, il vostro sterminio?» (Os 13,14).


La cupola del Battistero


Ci spostiamo ora nel Battistero per osservare il Giudizio finale nella cupola che sovrasta l’altare. Qui la decorazione a mosaico risale alla metà del Trecento e raffigura la seconda venuta del Signore circondato dai nove cori degli angeli. Ed è proprio la cura nel descrivere gli attributi degli angeli che fa di questa cupola un documento importante dell’iconografia cristiana.

Gesù Cristo appare in un cielo sfolgorante di raggi luminosi, sostenuto da due cherubini che hanno sei ali ciascuno e circondato da un primo cerchio di nove serafini rossi. Il secondo cerchio descrive più analiticamente la corte celeste. Ai piedi del Cristo, a guardia del suo trono, troviamo un Cherubino con quattro coppie di ali, le gambe nude e un medaglione sul petto con la scritta siencie plenitudo che allude alla pienezza della scienza teologica. Procedendo in senso orario troviamo il Serafino seduto sul trono dell’etimasia, con lo scettro in mano. Lo segue il Principato, seduto su uno sgabello con le gambe incrociate (simbolo di ponderatezza), rivestito di corazza e armato di elmo e spada sguainata. La Potestà è impegnata a incatenare Lucifero sul fondo dell’Inferno. L’angelo delle Virtù presiede alla risurrezione dei morti e richiama alla vita una mummia giacente tra i due simboli del fiume paradisiaco e della cavità fiammeggiante dell’inferno. Un Angelo e un Arcangelo, intorno a una fossa comune piena di risorgenti, sollevano due beati, li liberano dalle fasce mortuarie e li conducono in cielo. All’angelo delle Dominazioni è affidata la psicostasia: egli pesa le anime dei risorti su una bilancia a doppio piatto e tiene a bada con una lancia il demonio che cerca di alterare l’esito della pesatura. Infine vediamo il Trono seduto sulla volta del cielo stellato, vestito di abiti e calzature preziose, con lo scettro in mano e la corona sul capo.


Il mosaico del Paradiso


Dietro la tribuna della parete settentrionale della navata centrale è visibile un grande mosaico seicentesco dedicato al Paradiso. L’iscrizione recita: Hic Paradisus adest hic servans hostia Petrus quem reserat dignis omnibus ipse viris; si allude al ruolo di custode di San Pietro che provvederà ad aprirne le porte per accogliervi i beati. La visione è dominata in alto dalla Trinità: Dio Padre e il Figlio Gesù abbracciano il globo e reggono lo scettro della signoria sul creato, mentre la colomba dello Spirito santo effonde la sua luce, sullo sfondo dei cori degli angeli. Gesù è affiancato dalla madre Maria, con la corona di stelle sul capo. Gli angeli in volo accolgono festosamente i beati agitando il cartiglio con la sentenza di Gesù: «Venite, benedetti del padre mio». La grande schiera dei beati propone il classico gioco del who’s who. Vicino a Maria si riconoscono agevolmente Giovanni Battista con la pelliccia di peli di cammello e San Giuseppe con il bastone fiorito. Prossimi sono anche i dodici apostoli: Paolo ha la spada e le lettere, Andrea porta la sua croce, Bartolomeo il coltello, Giacomo il mantello e il bordone da pellegrino, Giuda Taddeo ha l’ascia sulle ginocchia, ecc. Si allineano i dottori della chiesa, i profeti e i martiri: Stefano, il protomartire, ha in mano la pietra della sua lapidazione; Apollonia ha la tenaglia col dente; Lucia ha la patena con gli occhi; Agata ha i seni tagliati; Sebastiano ha le frecce; Caterina da Siena ha l’abito domenicano, la corona di spine e il cuore in mano. Non mancano infine i patriarchi biblici: spiccano Noè con la sua arca e il re Davide con la cetra.


L’arcone dell’Apocalisse


Il sottarco sopra l’ingresso della Basilica propone alcune scene selezionate dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni. I mosaici sono stati rifatti alla fine dell’Ottocento. La prima scena vede Giovanni dormiente che ha la sua visione: Dio gli appare tra i sette candelabri, con la spada che gli fuoriesce dalla bocca e le chiavi in mano (Ap 1,12-16). La seconda scena, introdotta dalla scritta Que refero recte gradibus servare jubete, mostra i sette angeli custodi delle sette chiese dell’Asia (Ap 2). La terza scena vede l’adorazione dell’Agnello e il libro dei sette sigilli, circondato dai simboli dei quattro evangelisti: Beati qui ad caenam nuptiarum agni vocati sunt (Ap 4). La quarta scena descrive il segno grandioso apparso in cielo: «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni» (Ap 12, 1-6). La quinta scena vede l’arcangelo Michele che combatte contro il drago diabolico (Ap 7,9). La sesta scena descrive la curiosa scena di San Giovanni che divora il piccolo libro: «Allora mi avvicinai all'angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Egli mi disse: "Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele". Presi quel piccolo libro dalla mano dell'angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l'ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l'amarezza» (Ap 10,9-10).


La volta del Giudizio finale


All’inizio della navata mediana, nell’arcone sopra le gallerie, la volta detta ‘del paradiso’ propone le scene grandiose del Giudizio universale. I mosaici sono stati più volte rifatti ma i cartoni sono quelli originari di Jacopo Tintoretto, Antonio Vassilacchi e Maffeo da Verona, disegnati a cavallo tra Cinque e Seicento. Al centro si allunga la visione del Cristo giudice, con la Deesis e l’Etimasia. Gesù è adagiato su un trono di nuvole, contornato da due splendidi arcobaleni. Regge in mano il libro con la scritta Ego sum via et vita (Gv 14,6). La madre Maria, che prega a mani giunte, e Giovanni Battista, che indica la croce di colui che deve venire, stanno in piedi accanto a Cristo, nel ruolo degli intercessori. Al di sotto della Deesis è descritto il trono dell’etimasia. Due cherubini con sei ali e due serafini con i gigli guardano il trono vuoto, preparato per il giudice: sul trono sono deposti il cuscino, il mantello e il libro; dietro al trono sono le arma Christi: la croce, i chiodi, la corona di spine, la lancia e la canna. I progenitori Adamo ed Eva sono inginocchiati in preghiera ai piedi del trono.

Ai lati del giudice siede il tribunale celeste dei dodici apostoli. Ognuno di loro è individuato da un’iscrizione ed è affiancato da un angelo con un giglio. Una lunga scritta in latino giustifica il posto privilegiato che è stato loro riservato.

Sulle pareti discendenti della volta, sotto la teoria dei Dodici, sono raffigurati il Paradiso e l’Inferno. Una scritta di benvenuto accoglie i beati: ad regnum vitae benedicti quique venite est aeterna quibus pax gloria lux paradisus. Il lieto corteo degli eletti si avvicina al giudice con gesti di riverenza e con preghiere di ringraziamento: si riconoscono tra essi persone di tutte le condizioni; uomini e donne, laici e i chierici, nobili e popolani. Più in basso è descritto sinteticamente il Paradiso, con l’albero della vita, il buon ladrone Disma con la sua croce, la Madre con il Figlio in braccio e ancora la Madonna servita dagli angeli.

Sul fronte opposto la sentenza di maledizione introduce la scena dell’inferno: Perpetuis digni cruciatibus ite maligni quos tenet aeternus vorat urit et angit avernus. Un gruppo di angeli guerrieri incalza i dannati e li sospinge verso le fiamme. I peccatori corrono atterriti, inciampano nei corpi, cadono tra le fiamme, rotolano travolti dalla turba. In fondo li attende il drago infernale, la bocca del Leviatano che sputa fiamme dalle nari, la gola del pistrice. Altri personaggi fanno da contorno alla caduta dei dannati: la miserabile figura di Giuda suicida, impiccato al ramo di un albero, il ricco Epulone tra le fiamme che chiede una stilla d’acqua, i due lussuriosi legati con un serpente.

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