Itinerario nella provincia di Firenze

Firenze. Il trionfo della morte e l’inferno di Andrea Orcagna

Le tappe dell’itinerario

Il Museo dell’Opera di Santa Croce concentra le sue opere più significative nel Cenacolo, l’antico refettorio del convento. Accanto al celebre Crocifisso di Cimabue, all’Albero della vita e all’Ultima cena di Taddeo Gaddi, sono appesi a una parete i frammenti del grandioso affresco di Andrea Orcagna che originariamente decorava la parete destra della Basilica di Santa Croce. L’intonaco cinquecentesco, l’alluvione e la sovrapposizione degli altari di pietra, hanno distrutto l’affresco, consegnando ai visitatori di oggi soltanto alcuni brandelli, sufficienti comunque a ipotizzare la narrazione delle scene e ad apprezzare il valore del linguaggio pittorico. Con il nuovo assetto museale i frammenti sono stati assemblati in modo da facilitare, per quanto possibile, la lettura dell’opera. L’affresco di Orcagna, realizzato intorno alla metà del Trecento, era strutturato in tre parti, separate verticalmente da colonne tortili. La sezione centrale, completamente perduta, raffigurava probabilmente un Giudizio universale. La sezione di sinistra raffigura un Trionfo della morte, com’è possibile comprendere dalle scarse immagini residue. La sezione di destra raffigura l’Inferno; pur ampiamente lacunosa, conserva spazi più ampi di pellicola pittorica. Un riferimento comparativo utile per avere un’idea dello sviluppo dei temi in Santa Croce è costituito dai grandi pannelli del Camposanto pisano.


Del Trionfo della morte si sono conservati quattro episodi. In alto vediamo i diavoli che gettano nei crateri vulcanici fiammeggianti dell’Inferno le anime dei morti destinati alla dannazione eterna. Si è poi conservato parte di un pannello che contiene un’esortazione moraleggiante al “lectore” perché sia sempre preparato alla morte e non si faccia trovare in peccato mortale. Il testo dice: Schermo di savere di richeza / di nobiltà ancor di prodezza / val niente à colpi di costei / ed ancor non si truova contro allei / o lectore niuno argomento / or non avere l’intellecto spento / di stare sempre sì apparecchiato / che non ti giunga in mortale peccato. La scena di maggiore impatto è il gruppo di pezzenti, di mutilati e storpi, dal volto duro che ignora la pietà, per i quali la morte appare preferibile alla sofferenza: “da che prosperitade ci ha lasciati, ho Morte medicina d’ogni pena, de’ vienci a dare ormai l’ultima cena”. Sul fondo è visibile il tappeto di cadaveri che la morte si è lasciata dietro di sé; tra essi si riconoscono una religiosa e un cardinale.


Sulla fascia esterna dell’affresco sono descritti i quindici segni che precederanno il giudizio universale, secondo la lezione delle fonti medievali. Nella prima delle scene gli uomini osservano i segni straordinari che avverranno nel cielo, e in particolare l’oscuramento del sole; nella seconda scena è descritto il devastante terremoto che causerà il crollo degli edifici nelle città; nella terza scena la gente osserva il sollevarsi del mare.


Il Giudizio universale non si è conservato. Per analogia con il Giudizio del Camposanto pisano è ipotizzabile che esso avesse al centro il Cristo giudice e nelle estremità in basso i gruppi dei beati e dei dannati. Nel frammento conservato in basso a destra, al fianco della colonna tortile, si vede un dannato con un copricapo di foggia orientale, un nero diavolo buttafuori e la porta dell’Inferno sovrastata da un demonio in forma d’avvoltoio che pronuncia il celebre verso dantesco Lasciate ogni speranza.


L’Inferno è strutturato in una serie di bolge che fanno corona al principe delle tenebre Lucifero. Le tre bolge ancora visibili sulla sinistra sono utilizzate per la punizione di tre vizi capitali: la lussuria, l’ira e l’avarizia. Se l’ipotesi del settenario dei vizi fosse confermata nelle scene mancanti, potremmo immaginare che le bolge della zona destra fossero utilizzate per la punizione dei vizi della gola, dell’invidia e dell’accidia, lasciando a Lucifero il ‘privilegio’ di punire la superbia. Lucifero è fornito di tre facce e di tre paia di ali. Con le tre bocche divora i grandi traditori: la bocca centrale, in particolare, divora il traditore Giuda. Con la mano destra stritola un dannato a testa in giù e con la mano sinistra regge lo stendardo della superbia. Sotto i piedi schiaccia i giganti dell’Antenòra. L’immagine di Lucifero è chiaramente derivata dall’Inferno di Dante Alighieri. Anche altri particolari dell’affresco richiamano il poema dantesco: oltre la porta dell’inferno, vediamo una citazione della selva dei suicidi (non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco
) e un centauro con arco e frecce.

La bolgia della lussuria contiene alcuni diavoli che con spiedi e lance infilzano i dannati; tra essi si distingue la coppia lussuriosa formata da un uomo e dalla sua compagna dalle bionde trecce. La bolgia sottostante vede l’ira, personificata in una donna serpente. I personaggi puniti sono un soldato violento con la spada sguainata, una coppia che si affronta in una lotta mortale (il soccombente è afferrato alla caviglia da un demonio), un uomo fatto a pezzi, affiancato da un altro in procinto di esserlo. La bolgia dell’avarizia vede un dannato strangolato con la corda della sua scarsella, un demonio che con un mestolo versa oro fuso nella gola dell’avaro, il demonio alfiere con la testa di un lupo (animale associato all’ingordigia), un gruppo di dannati (vescovo, cardinale, monaco, re) cui il diavolo ha sottratto le borse dei denari. Sul fondo dell’affresco si nota un diavolo che trascina un dannato tirandolo per i piedi. Potrebbe trattarsi di un dannato che è transitato dalla porta dell’inferno e che ora viene portato al suo luogo di punizione.

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