Itinerario nella provincia di Firenze

Firenze. I due Giudizi finali del Beato Angelico nel Museo di San Marco

Le tappe dell’itinerario

La visione del Giudizio universale era congeniale a Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, detto il Beato Angelico o Fra Angelico (1395-1455). Su questo tema egli si cimentò più volte: con la tavola del Museo San Marco (1430), il trittico del Giudizio nella Galleria di Palazzo Corsini a Roma (1447-48 circa), le vele del Giudizio nella Cappella del Duomo di Orvieto (1447), il trittico del Giudizio finale nella Gemaeldegalerie di Berlino (1450) e il pannello dell’Armadio degli Argenti (1451-53).


L’opera che è rimasta più famosa e che più si è impressa nella memoria collettiva è tuttavia la tavola di San Marco. E la ragione risiede soprattutto in quel girotondo di angeli e beati nei prati celesti che ha innovato la percezione del Paradiso e lo ha reso concreto e desiderabile nell’immaginario popolare. Ad esser più precisi la geografia del Paradiso del Beato Angelico si articola su tre livelli, cui corrispondono tre luoghi diversi. Il primo paradiso è il giardino di erbe, fiori, cespugli fioriti, alberi frondosi e carichi di frutti: i risorti che hanno appreso la buona novella della loro salvezza eterna, vi si dirigono, accolti amorevolmente dagli angeli e vi improvvisano un gioioso e fanciullesco girotondo intorno a una simbolica palma e a un laghetto; un angelo invita un beato a un passo di danza. Il secondo paradiso ha invece i tratti urbani della città sul monte, la “città santa, la nuova Gerusalemme, cinta da grandi e alte mura con dodici porte”, descritta nel libro dell’Apocalisse. Assorti in una sacra conversazione, i beati ne risalgono l’erta e raggiungono la porta che irradia lo splendore della luce della grazia divina. Il terzo paradiso è quello celeste, ovvero la comunione dei santi, raccolti sulle nuvole, in contemplazione di Gesù e della sua gloria nel più alto dei cieli. Nel Paradiso celeste il Beato Angelico dipinge non soltanto gli apostoli del tribunale celeste, ma anche patriarchi, profeti, confessori e martiri. Tra i 26 beati raffigurati ai lati di Gesù, ordinatamente disposti su due tribune, è facile riconoscere gli apostoli Pietro (con le chiavi), Andrea (con la croce), Giacomo (col bastone da pellegrino), Bartolomeo (con il coltello), Paolo (con la spada) e Giovanni (imberbe); i giusti biblici: Abele (con l’agnello), Abramo, Mosè (con i corni di luce), il re Davide; il martire Stefano; e poi San Domenico, San Francesco, Sant’Antonio, San Benedetto. I tre Paradisi evocano la gioia degli eletti e la dolcezza angelica della ricompensa ma indicano anche una sorta di progressione degli stati di felicità eterna.

Il centro del giudizio universale è il Cristo giudice, seduto sul trono della sua seconda venuta, nella grande mandorla radiosa, sorretta da otto serafini. Egli pronuncia la sentenza con un semplice gesto delle mani: la destra col palmo aperto in segno di accoglienza dei beati; la sinistra che respinge i dannati dalla sua presenza. Gli fanno corona gli angeli in adorazione, una folla multicolore, rappresentativa dei diversi ordini; alcuni hanno tra le mani gli strumenti musicali che fanno intuire le melodie celesti che accompagnano la parusia del Signore. Ai piedi del Cristo, in posizione eminente rispetto ai santi, vediamo Giovanni il Battista e la madre Maria, impegnati nella preghiera d’intercessione per la salvezza dell’umanità. Tre angeli si voltano e si rivolgono verso il basso mostrando la croce, strumento della passione di Gesù, e suonando le lunghe trombe che chiamano i morti al risveglio universale.

Al centro, in basso, è un altro delle soluzioni grafiche che hanno reso celebre il dipinto dell’Angelico: la grande spianata delle tombe vuote, la doppia fila di avelli scoperchiati, riprese in uno scorcio prospettico che dà l’idea del cimitero planetario. All’inizio, in grande evidenza, è il sepolcro di Gesù, vuoto. Il messaggio dell’Angelico è limpido: la risurrezione di Gesù è il prodromo della risurrezione universale, e segna la sconfitta definitiva della morte che era entrata nel mondo dopo il peccato originale. Nel momento fotografato dall’Angelico, il Giudizio finale è già avvenuto, la sentenza è stata comunicata e i risorti sono già separati nei due gruppi dei buoni e dei cattivi. A sinistra i salvati esprimono tutta la propria letizia. La loro riconoscenza al giudice si manifesta nel gesti della preghiera: le mani congiunte, le braccia incrociate sul petto, le palme levate, perfino l’applauso. Esaurito il rituale del ringraziamento, i beati si volgono verso il Paradiso, accolti e abbracciati da una legione di angeli. Nel gruppo dei beati vediamo le gerarchie civili e religiose: i re e le regine, il papa, i vescovi, i cardinali. Molto numeroso è il gruppo dei religiosi provenienti dai diversi ordini, maschili e femminili. Vi sono poi i rappresentanti della società civile e delle professioni. Sono anche presenti una coppia di sposi e un soldato. Nella parte opposta, al di là delle tombe, sono invece raccolti i dannati. L’espressione dei visi, i gesti delle mani, la postura dei corpi, rendono bene il disappunto, lo scoramento, la repulsione: una gamma di sentimenti che arriva fino all’angoscia e alla disperazione. Tra i dannati non vi sono categorie privilegiate o escluse: laici ed ecclesiastici, potenti e popolani, sovrani e fraticelli, uomini e donne, tutti si accalcano verso la porta dell’Inferno. I diavoli non hanno riguardi: pressano, spintonano, usano lance e forconi, strattonano e brutalizzano, si caricano i dannati sulle spalle, utilizzano i rampini per arpionare i reprobi e velocizzare il flusso d’ingresso sulla soglia infernale.

L’Inferno viene mostrato come lo spaccato di una montagna: un’anticamera in alto, sei cubicula disposti su tre registri, la grande caverna sul fondo. L’Angelico si ispira qui all’Inferno dipinto nel Camposanto di Pisa. Nel registro più alto vediamo i superbi: uno scismatico decapitato, un indovino, due impiccati (di cui uno anche eviscerato), uno scomunicato gettato nella gola del mostruoso Leviatano. I sei cubicula centrali accolgono i dannati che si sono macchiati degli altri vizi capitali. Vediamo nell’ordine gli accidiosi (prostrati e tormentati dai serpenti), gli invidiosi (la presenza di un re con la corona ricorda che l’invidia è il vizio delle corti), gli iracondi (che mostrano gesti di collera e di autolesionismo), i golosi (sottoposti al supplizio di Tantalo davanti a una tavola imbandita), gli avari (impiccati alla corda delle loro scarselle o ingozzati di oro fuso in un crogiolo), i lussuriosi (che ardono in una marmitta d’acqua bollente). In fondo alla voragine infernale vediamo Lucifero confitto dalla cintola in giù in una grande caldaia, piena di dannati, continuamente rimestata dai diavoli. Lucifero è un'orrida creatura dotata di tre facce su una sola testa; in ognuna delle tre bocche maciulla coi denti un peccatore (secondo la versione dantesca, sono Giuda, Bruto e Cassio, ovvero i tre principali traditori della tradizione biblico-classica).


Il secondo Giudizio finale fiorentino dell’Angelico, meno noto ma conservato nello stesso Museo di San Marco, è uno dei pannelli superstiti che componevano l’Armadio degli Argenti. Si tratta di una versione semplificata del Giudizio precedente. Mancano infatti gli angeli che fanno corona al Cristo giudice e le raffigurazioni del Paradiso e dell’Inferno. Sono invece presenti le due tribune della corte celeste, con gli intercessori, gli apostoli e i santi, e i due gruppi contrapposti dei beati e dei dannati (sia pure sfoltiti nel numero). A differenza della tavola precedente, qui la risurrezione dei morti è ancora in corso: si vedono alcuni morti che riprendono vita e si affacciano dai loro avelli scoperchiati. Un altro particolare originale è il dannato che si era mimetizzato tra i beati: snidato da un angelo, viene afferrato e trascinato con decisione tra i suoi pari. Vanno poi citati i cartigli che riproducono alcune citazioni bibliche a commento degli eventi raffigurati. In basso sono riportate le due sentenze che Gesù pronuncia durante il giudizio finale per introdurre in Paradiso quelli che hanno compiuto opere di misericordia verso i bisognosi e per inviare all’Inferno quelli che hanno rifiutato la misericordia ai loro fratelli: Venite, benedicti Patris mei, percipite regnum e Ite, maledicti, in ignem aeternum (Mt 25). In alto sono riportati versetti tratti dal capitolo 5 dell’Apocalisse (Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu, et lingua, et pópulo), dal capitolo 4 del libro del profeta Gioele (ascendant omnes gentes in valle Josaphat, ibi sedebo, ut judicem omnes in circuitu), dal capitolo 16 del Vangelo di Marco (Iesum quaeritis Nazarenum crucifixum: surrexit, non est hic) e ancora dal capitolo 25 del Vangelo di Matteo (Sedebit super sedem majestatis suae et iudicabit bonos et malos).

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