Itinerario nella provincia di Imperia

Triora. Cavalcata nell’aldilà

Le tappe dell’itinerario

Triora è certamente uno dei più interessanti paesi delle alpi liguri e merita ampiamente il label dei borghi più belli d’Italia. Si fa apprezzare per la qualità del suo tessuto urbanistico e dei suoi edifici, per i valori ambientali della montagna enfatizzati dalla sua posizione panoramica a dominio dell’alta valle Argentina, per la sua storia di borgo di confine continuamente in gioco tra i propri statuti di autonomia e i potentati vicini, per i suoi beni culturali e artistici, per la sua capacità di conservare la memoria della gente locale testimoniata dal museo etnografico e della stregoneria.


La nostra attenzione si concentra sulla chiesa campestre di San Bernardino, collocata fuori del paese in una posizione da brivido, testimonianza evidente di come in Italia possano esistere beni culturali di grande interesse anche nelle aree apparentemente più appartate e marginali. L’ambiente è assolutamente pittoresco. La chiesa si apre sull’acciottolato di una piazzetta, riparata dall’ombra di un grande albero, introdotta da un portichetto esterno a tre arcate, aggirata da un vialetto sormontato da ponti di pietra.

L’interno è decorato da un ampio ciclo di affreschi della fine del Quattrocento. La visione dei regni dell’aldilà richiama altre immagini simili, diffuse nelle chiese del ponente ligure, del Piemonte e della vicina Francia. La visione è articolata in tre fasce dipinte. Il registro superiore è dedicato ai luoghi ultraterreni. Il registro intermedio descrive le pene infernali. Il registro in basso ammonisce i vivi con l’immagine moraleggiante della cavalcata dei vizi.


Nel contesto generale dell’affresco, focalizzato soprattutto sull’inferno e sulle punizioni dei peccatori, non stupisce che la figura che assume maggior rilievo sia quella di Lucifero che punisce i superbi: il principe dei diavoli che punisce il principe dei vizi. Lucifero è qui una macchina divorante, uno scimmione peloso, un king kong dell’oltretomba, una dea kalì dalle tante bocche. Le gole tradizionali del Lucifero dantesco non sono accostate tra loro nella testa trifauce ma sono distribuite lungo il corpo e localizzate sul capo, sulla pancia, sui gomiti e sulle ginocchia. Il volto appare più grottesco che spaventoso: ha le corna arcuate da caprone, le orecchie a forma di conchiglia jacobea, i lunghi canini da vampiro che straziano le carni dei dannati. Ancor più grottesco è il ventre divorante, sovrastato da profonde rughe e da corna da stambecco, dotato di zanne arcuate che trapassano da parte a parte il corpo dei traditori (proditores). Le bocche dei gomiti, più piccole ma non meno cattive, ingoiano i corpi di coloro che hanno peccato contro il secondo comandamento (biastematores dei). Allo stesso modo le bocche dentate delle ginocchia ingoiano i corpi dei desperati. Le zampe ferine, munite di lunghe unghie affilate, artigliano e schiacciano a terra gli incantatores e i peccatori contro l’ottavo comandamento (falsi testes) che hanno fatto condannare degli innocenti. Coerentemente con la visione dell’Apocalisse (20,2) Lucifero figura in catene sul fondo dell’inferno: un collare lo lega alla colonna; una barra di ferro gli blocca le caviglie e una catena snodata ne condiziona i movimenti delle braccia.


La figura di Gesù è collocata al centro del Paradiso. Siede sull’arcobaleno, all’interno della tradizionale mandorla sostenuta dai cherubini. Solleva le braccia per benedire i beati e accoglierli nel suo regno. Il Paradiso ha la forma urbana della città celeste che riecheggia la Gerusalemme apocalittica scesa dal cielo. Le mura merlate si alternano ad alte torri. A sinistra si vede la janua coeli: le anime dei salvati salgono le scale e trovano ad accoglierli San Pietro, che le introduce all’interno. L’interno della città è stipato di beati. Ai lati di Gesù Maria e Giovanni Battista sono raffigurati in ginocchio nella preghiera di intercessione a favore dei risorti. Dietro di loro compaiono gli angeli che cantano gli inni celesti accompagnandosi con gli strumenti musicali. Si riconoscono anche le sacre gerarchie: un papa col triregno, un cardinale con la berretta di porpora e un vescovo con la mitria. Sono presenti i martiri: si riconoscono, ad esempio, il diacono Stefano con la pietra sulla testa, simbolo del suo martirio per lapidazione, e la santa Caterina con la ruota dentata miracolosamente spezzatasi durante il suo supplizio. Ci sono i religiosi e le donne sante.


Nell’affresco compaiono poi i regni intermedi. Il Purgatorio è un lago di fuoco dove i peccatori si purificano tra le fiamme scontando su tempi più o meno lunghi la loro pena. Grazie però alle preghiere e alle messe di suffragio offerte dai superstiti, i tempi vengono abbreviati e gli angeli scendono in volo sui purganti a offrire refrigerio e generi di conforto materiale e spirituale. Il Limbo dei pargoli è confinato in una spaziosa caverna. Vi si affollano i bambini morti precocemente senza aver ricevuto il battesimo (sepulcrum puerorum sine baptismati vocatur limbulus), privi dunque di colpe personali ma ancora gravati dal peccato originale. I bimbi non soffrono alcuna pena ma mostrano la mestizia di chi è impedito di godere della beatitudine.


Nel registro superiore sono descritte le scene del giudizio individuale affidato alla pesatura effettuata dall’arcangelo Michele sulla bilancia a due piatti: angeli e diavoli si dividono i beati e i dannati e li conducono al loro rispettivo destino. Qui fa la sua originale comparsa lo scheletro della Morte. In realtà tale presenza è escatologicamente incongrua perché dopo la risurrezione dei morti e il giudizio finale la Morte è stata definitivamente sconfitta e cancellata. Ma lo smemorato pittore la rappresenta ancora in piena attività, munita di falce, mentre aiuta i diavoli nella cernita dei dannati.


La punizione dei vizi capitali si consuma all’interno di celle penitenziali chiamate sepulcri. Ogni sepulcrum è segnato dalla presenza di un principe dei diavoli che inalbera il vessillo del peccato punito. Accanto al vizio principale, sono puniti i vizi secondari derivati. I dannati sono così sottoposti a una molteplicità di supplizi.  Il sepolcro dell’Invidia, ad esempio, è presidiato da Capitan Belzebù: i condannati sono sottoposti alla tortura della ruota girevole o sono sezionati a metà da una sega dentata. I golosi sono costretti alla visione del cibo di una tavola imbandita ma sono impediti dal goderne. I tiepidi e gli accidiosi finiscono in un  pozzo o sono immobilizzati in uno stagno ghiacciato. I seguaci dell’Ira e della Furia finiscono infilzati ai rami appuntiti dell’arbor mali con la parte del corpo protagonista del peccato. I lussuriosi scontano i loro incontrollati ardori sessuali sulla griglia arroventata, mentre una mezzana viene cavalcata da un demonio dispettoso che la guida tenendole i capelli e la punzecchia con le lame appuntite degli speroni. Gli avari sono puniti nel calderone bollente o infilzati su uno spiedo che gira sul fuoco. I peccatori più fotografati dell’intero affresco sono comunque i maghi e le fattucchiere stipati in una fornace ardente: sulle loro false mitrie sono raffigurate le potenze demoniache che hanno evocato. I diavoli li rimestano con i forconi, mentre un demonio infila legname alla base della fornace per alimentarne il fuoco. Un vomitevole rospo li insidia con le sue zampe.


Il registro inferiore reca(va) la scena della cavalcata dei vizi in catene. Essa è andata in gran parte perduta. Qualche vizio è ancora riconoscibile, a cavallo del suo simbolico animale. Manca anche la tradizionale gola dell’inferno che si è tuttavia trasferita più in alto nel sepolcro dei lussuriosi.

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