Itinerario nella provincia di Imperia

Montegrazie. Un percorso tra i Novissimi

Le tappe dell’itinerario

Questo itinerario propone di rifugiarsi sommessamente tra gli ulivi delle colline d’Imperia e di risalire a piedi antichi silenziosi carruggi, in direzione di un campanile circondato dal verde. L’antico borgo di Montegrazie, nel Ponente ligure, s’inerpica con le sue viuzze acciottolate tra le terrazze che risalgono il ripido pendio del monte Croce. Da qui si va a raggiungere a piedi il santuario di Nostra Signora delle Grazie. La sua invidiabile posizione, circondata dal verde e panoramica verso l’azzurro del mare, si salda a un curiosissimo ciclo di affreschi custodito tra le navate e l’abside. Del Santuario si osservano la tipica architettura in gotico ligure, il portico sorretto da semicolonne, le tre absidi, le decorazioni e lo slanciato campanile. Ci si può poi tuffare nella penombra della chiesa a tre navate, divise da due ordini di quattro colonne che sostengono archi a sesto acuto. Ad attirare l’attenzione è però un famoso ciclo di affreschi della fine del Quattrocento. In fondo alla navata di sinistra si trova la visione dei Novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) interpretata dai due fratelli pittori “Thomas et Matheus Biazacii de Buscha” nel 1483. Tale visione si struttura su cinque registri sovrapposti: il primo, in alto, è dedicato al giudizio individuale e ai regni ultraterreni. Il secondo e il terzo registro raccontano le pene dell’inferno. Il quarto registro mostra il contrasto tra i vizi e le virtù. L’ultimo registro fornisce ai credenti una pedagogia sacramentale in vista della loro morte corporale.


La morte individuale è la chiave che introduce il percorso escatologico di Montegrazie. L’ultimo quadro del registro intermedio mette teatralmente in scena il «memento mori» («ricordati che devi morire»). Un giovane elegante è ormai sul punto di passare all’altra vita. La Morte, raffigurata come un arciere che sta per scoccare il dardo fatale, è ormai a pochi passi. È il momento dell’ultimo esame di coscienza, personificato dal contrasto tra l’angelo e il demonio. Lo spirito maligno trascrive le opere cattive del giovane sul libro del bene e del male. Si tratta di una replica della tentazione diabolica del serpente biblico della Genesi ai nostri progenitori. L’invito è ancora una volta subdolo: «ne timere peccatum…». L’angelo, invece, poggia paternamente la sua mano sulle spalle del giovane e lo ammonisce con l’indice alzato: «fac bonum dum vivis si post mortem vivere vis», «fa’ il bene mentre sei ancora in vita se vuoi vivere anche dopo la morte».


Il registro in basso declina gli ammaestramenti dei Biazaci sulla «buona morte». Cinque scene esplicitano il catechismo della «ars moriendi». Ma mettono anche sull’avviso i vivi rispetto ai rischi della «cattiva morte». Il percorso proposto è tutto sacramentale, basato com’è sulla pratica della confessione e della comunione. Nel primo riquadro un fedele inginocchiato in chiesa riceve con devozione la particola dell’Eucarestia. Nella seconda scena è un malato ormai agonizzante nel suo letto che riceve l’estrema comunione. La terza scena descrive la cattiva confessione, falsa o reticente. La quarta scena ammonisce i fedeli di non accostarsi all’eucarestia in peccato mortale, simboleggiato dal giogo del demonio intorno al collo. L’ultimo quadro è dedicato alla morte del peccatore: il diavolo balza sul letto di morte e s’impadronisce lestamente dell’animula che la morente esala con l’ultimo respiro; l’angelo custode, messo in un angolo, esibisce tutta la sua costernazione.


I sette vizi capitali sono rappresentati, in modo sorprendente e originale, come una cavalcata. Una lunga carovana di donne e uomini peccatori, a cavallo di bestiacce altrettanto viziose, é condotta in catene da un diavolo verso la bocca dell’inferno. Il primo vizioso è un re orgoglioso, a cavallo di un leone, che sfodera lo spadone e simboleggia la Superbia. L’Avarizia è raffigurata come un usuraio che stringe in mano i sacchetti delle amate monete e cavalca un cinghiale. La Lussuria è una donna in abito lungo, a cavallo di un caprone, che si ammira allo specchio ed esibisce maliziosamente la gamba fasciata da un lungo stivale. L’Invidia, a cavallo di una faina, veste la berretta, una corta tunica rossa e scarponcini scamosciati. Un obeso dalla larga tunica, simbolo della Gola, cavalca una volpe e addenta godurioso una coscia strappata dal pollo arrosto infilato sullo spiedone. L’Ira indossa un lungo abito verde, cavalca un orso e si ferisce con un pugnale. L’Accidia, ultimo vizio, cavalca un somaro. L’inferno ha le sembianze di un grosso serpente dagli occhi gialli: la bocca spalancata ricorda la sulfurea descrizione del Leviatano di Giobbe.


Alla cavalcata dei sette vizi segue, in opposizione, la manifestazione delle sette virtù. Queste sono personificate da altrettante donne aureolate, inquadrate sotto le arcate di una loggia del Paradiso. La prima è la “humilitas”, che sopporta il giogo sul collo e sfida così il vizio corrispondente, la superbia. La “temperantia”, opposta all’avarizia, cede a un povero una moneta tratta dalla sua scarsella. La “puritas”, opposta alla lussuria, veste l’abito e il bianco velo monacale, ha in mano il libro delle preghiere e si frusta per reprimere l’ardore dei sensi. La generosa “charitas”, opposta all’invidia, allatta al seno due bimbi. La “sobrietas” si chiude la bocca con la mano e figura così come l’alternativa alla disordinata ingordigia della gola. La “paciencia”, opposta all’ira, è in ginocchio, a mani giunte e capo chino. La “fortitudo” sfoggia il suo gran carattere nella gestione dei lavori domestici e lancia la sfida al vizio dell’accidia.


Al secondo e al terzo piano troviamo l’Inferno. I dannati vi precipitano attraverso la buca nel terreno soprastante (posta all’estrema destra del primo piano) e vi sono distribuiti, ciascuno in un sepulcrum. I “sepolcri” sono allineati su due livelli e si succedono separati da muri divisori e vigilati ciascuno da un diavolo alfiere con la sua insegna infernale. Ciascun sepolcro è destinato a punire un macro-vizio. Al suo interno sono applicate pene diverse anche ai sotto-vizi.

Il primo sepulcrum è dedicato al primo dei peccati capitali, la superbia (superbia et vanitas). I peccatori contro il secondo comandamento (biastemiatores dei et sanctorum) sono ammucchiati in una fornace quadrata il cui fuoco è alimentato da bocche laterali. Maometto, simbolo dell’eresia e delle fratture nella chiesa provocate dagli scismi, è segato in due parti. Un diavolo fa cozzare testa contro testa i rappresentanti delle fazioni politiche contrapposte (partiales). Un altro diavolo rimesta col forcone i maghi e le fattucchiere buttati nel pozzo: sulle loro false mitrie sono raffigurate le potenze demoniache che hanno evocato.

Il secondo sepulcrum è destinato alla punizione dell’avarizia. I giudici falsi sono infilati sullo spiedone e arrostiti sul fuoco nel quale bruciano i notai: un primo diavolo si occupa del girarrosto e della brace notarile, mentre un secondo insaporisce col sale la carne dei dannati. Padre e figlio, usurai in conflitto, sono collocati nei due secchi di un pozzo: l’uno risale mentre l’altro scende sul fondo. Un avaro è ingozzato di oro fuso (aurum sitisti, aurum bibe!): replica della punizione che Dante, nel canto XX del Purgatorio, prevede per il triumviro Crasso, famoso per la sua cupidigia. Due ladri (latroni) sono impiccati a una forca, mentre i draghi ne mordono le carni.

Il terzo sepulcrum punisce la lussuria ma è andato completamente perduto.

Il quarto sepulcrum è dedicato all’invidia (invidiam et malignitate). I dannati sono inchiodati sul cerchione o sono infilzati alle punte di ferro di una ruota dentata azionata da un diavolo che gira vorticosamente e che in alternanza solleva e immerge i puniti tra le fiamme. Sono loro associati gli strumenti e i simboli del mestiere (la brocca, l’ascia, il falcetto, la zappa, le forbici, la bilancia, il martello). Un diavolo munito di tenaglia strappa la lingua ai seminatori di zizzania e alle malelingue. Una donna che ha provocato discordie e liti è punita da un serpente che l’avvolge nelle sue spire. Un’altra donna è addentata e ingoiata da un Leviatano.

Il quinto sepulcrum è dedicato al vizio della gola (gula et voracia). Belfagor, il demone alfiere, tracanna una brocca di vino e addenta un piccione arrosto con la seconda bocca posizionata sulle natiche. I golosi siedono sulla panca che circonda una tavola imbandita di cibi (un tacchino arrosto, un prosciutto di maiale, una crostata, panini, bottiglie e bicchieri colmi di vino rosso e bianco): sono però legati e soggiacciono al supplizio di Tantalo. Un demone infilza lo spiedo nella gola di un uomo: le sue labbra sfiorano il pollo arrostito senza poterlo addentare. Una donna vorace usque ad vomitum osserva vogliosa un pollo cotto al coccio che il diavolo le mostra mentre le preme lo stomaco. Un alcolista, steso a terra,  è punito dai diavoli propter ebrietatem: con un imbuto infilato in gola è costretto a tracannare vino versatogli direttamente da una botte.

Il sepolcro successivo, il sesto, punisce il vizio dell’ira nelle sue diverse declinazioni dell’ingiustizia e della vendetta. I dannati sono infilzati ai rami appuntiti di un arbor mali. Il peccato punito va interpretato analizzando la parte del corpo colpita: avremo così la punizione della disperazione del cuore, dell’autolesionismo, della violenza sessuale, della collera, della trasgressione del quarto e del quinto comandamento. Le donne che hanno volontariamente abortito (mulieres qui occidunt filios in ventre) sono fatte a pezzi e divorate da un drago verde. Gli scomunicati sono lavorati sull’incudine da due diavoli-fabbri, muniti di martello e tenaglie. Un lungo chiodo trapassa da un orecchio all’altro la testa di una donna che si è lasciata trascinare in risse verbali (qui audiunt et dicunt in ira verbum inonestum).

L’ultimo sepolcro è dedicato al peccato capitale dell’accidia. La lentezza nell’operare il bene, la pigrizia nell’attendere ai doveri familiari, la trascuratezza dei religiosi nell’attendere al servizio divino sono punite con il contrappasso dell’ipo-mobilità. Preti, frati, suore, vescovi e cardinali cuociono a fuoco lento in un calderone scaldato da un fuoco alimentato da altri dannati utilizzati come legna da ardere. I pigri e gli oziosi (tra i quali una suora e l’incappucciato di una confraternita) sono costretti all’immobilità, bloccati nel gelo di un lago ghiacciato.


In alto il Cristo parusiaco appare nei cieli all’interno della tradizionale ‘mandorla’ iridata, sostenuta dai cherubini e siede a braccia levate. Gli fanno corona gli angeli musici. Le anime dei giusti si avviano verso il Paradiso, risalendone la scalinata d’accesso, e trovano ad accoglierle San Pietro che apre loro la porta del regno dei cieli. Il paradiso ha l’aspetto della città celeste descritta dall’Apocalisse, una città circondata da alte mura merlate, intervallate a torri. Lo spazio urbano è affollato di santi oranti, ordinatamente disposti su tre file rivolte verso il Cristo trionfante. L’affresco è danneggiato ma consente almeno di osservare le diverse categorie di beati: gli apostoli, le gerarchie della chiesa, le donne sante, i martiri.

Segue il Purgatorio, descritto come un lago fiammeggiante nel quale le anime soffrono per espiare la pena. La permanenza in Purgatorio può essere però ridotta, anche fortemente, dall’intercessione dei fedeli. E così alcuni angeli misericordiosi portano alle anime sofferenti il lenimento e il sollievo impetrato dai vivi.

Il giudizio individuale delle anime è affidato all’arcangelo Michele mediante la pesatura sulla bilancia a due piatti. Una dannata è afferrata per i capelli da un diavolo e attirata nella buca che dà accesso all’inferno.

Il Limbo dei pargoli è raffigurato nell’angolo superiore a sinistra. Un’ampia cavità accoglie le anime dei bambini morti senza aver ricevuto il battesimo. La scritta recita: isti sunt pueri virgineo qui mortui sunt absque baptismate et limbus vocatur.

Visioni dell’aldilà

Percorsi apocalittici in Italia

Itinerari

Home -> Visioni dell’aldilà -> Itinerari -> Liguria -> Imperia