Itinerario in Campania

Napoli. Il Giudizio universale nel tribunale di Castel Capuano

Le tappe dell’itinerario

Castel Capuano è oggi sede del tribunale civile di Napoli, ma la sua vocazione a palazzo di giustizia rimonta indietro negli anni fino al 1640, quando il vicerè Pietro di Toledo decise di  riunirvi tutti i tribunali fino ad allora dispersi in diverse sedi cittadine e di farne il più grande tribunale del Regno. Il nome gli deriva dalla vicinanza con la Porta Capuana e con la strada per Capua. A Napoli è anche noto come  Palazzo della Vicaria, in quanto sede del Vicario del Regno che presiedeva al potere giudiziario. Durante i lavori di ristrutturazione del palazzo e di suo adeguamento alle nuove esigenze del tribunale, una sala che ospitava i periti contabili di corte (i sommarii) fu convertita in cappella per potervi celebrare i servizi religiosi a favore dei numerosi frequentatori del palazzo. L’interno è rivestito dei dipinti che il pittore spagnolo Pedro de Rubiales realizzò dopo il 1645 raffigurando scene della vita di Cristo, una famosa Deposizione e l’allegoria delle Virtù. Con allusione all’esercizio della giustizia nel palazzo, Pedro de Rubiales volle poi inserirvi anche le scene del Giudizio universale e del destino degli innocenti e dei condannati.


Il Giudizio finale si sviluppa su quattro scene sovrapposte. In alto è il Giudice che pronuncia la sua sentenza. Nella gestualità e nell’abbigliamento è una citazione del Cristo nel Giudizio di Michelangelo alla Sistina. Intorno sono gli angeli che esibiscono gli strumenti della passione. La seconda scena vede protagonisti la Madre nel ruolo di intercessore, il Precursore Giovanni il Battista, e gli Apostoli, riconoscibili dai loro simboli (la pelle scorticata di Bartolomeo, le chiavi di Pietro, la croce di Andrea). Nella scena sottostante, da un varco delle nubi, escono i quattro angeli trombettieri che suonano le trombe del giudizio; vi è anche l’angelo che apre il libro contenente la trascrizione delle opere compiute nel bene e nel male da tutti gli uomini. La scena in basso descrive la fine del mondo, una terra desolata animata da tre personaggi: il Tempo, la Morte e il Risorto. Il Tempo è un vecchio con la clessidra spezzata che soccombe all’Eterno. Lo segue la Morte ormai sconfitta (lo scheletro che traballa e cade, con la falce già spezzata). Il terzo personaggio è il Risorto che osserva attonito la scena del Giudizio.


La cornice a sinistra del Giudizio contiene la descrizione della risurrezione dei morti e dei glorificati nel Paradiso celeste. I risorti emergono dalle viscere della terra e (con citazione michelangiolesca) si aiutano reciprocamente nel sollevarsi e ascendere verso il cielo. Veramente curiosa è la scenetta dei tre angeli che sono impegnati a ricomporre uno scheletro, riassemblando le ossa sparse. In alto le nuvole formano un grande anfiteatro che accoglie i beati. In Paradiso sono ben riconoscibili alcuni personaggi: Adamo ed Eva con i fianchi cinti da foglie di fico, Mosè con i corni di luce sulla fronte e le tavole della legge, san Lorenzo con la graticola e san Biagio con i pettini di ferro, strumenti del loro martirio.


La cornice a destra del giudizio contiene la descrizione dell’arrivo dei dannati all’Inferno. I diavoli provvedono a raccogliere i reprobi e a condurli al cospetto di Lucifero (che ha in testa la corona di re degli inferi) e che ne decide il destino punitorio. Sulla scena s’impone soprattutto la grande bocca del Leviatano biblico che Giobbe descrisse in questi termini: «davanti a lui ogni sicurezza viene meno, al solo vederlo si resta abbattuti. Nessuno è tanto audace da poterlo sfidare: chi mai può resistergli? Chi mai ha aperto i battenti della sua bocca, attorno ai suoi denti terrificanti? Dalla sua bocca erompono vampate, sprizzano scintille di fuoco. Dalle sue narici esce fumo come da caldaia infuocata e bollente. Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme». In effetti l’Inferno della Sommaria può essere definito un Inferno “letterario”. Alla citazione del libro di Giobbe si aggiungono altre citazioni importanti. Mitologica, michelangiolesca e dantesca è la presenza di Caronte, il demonio che percuote i dannati col remo dopo averli traghettati sulla palude Stigia: «Caron dimonio, con occhi di bragia / loro accennando, tutte le raccoglie; / batte col remo qualunque s’adagia» (Inferno III 109-111). Citazioni altrettanto mitologiche e dantesche sono la presenza sulla porta dell’inferno di Cerbero, il cane a tre teste, e l’apparizione di Megera, Tisifone e Aletto, le orrende Erinni, le Furie romane, che assalgono selvaggiamente i dannati in arrivo: «dove in un punto furon dritte ratto / tre furïe infernal di sangue tinte, / che membra femminine avìeno e atto, / e con idre verdissime eran cinte; / serpentelli e ceraste avean per crine, / onde le fiere tempie erano avvinte» (Inferno IX 37-42).

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