Itinerario in Campania

Napoli. Reali a giudizio nella clausura di Donnaregina

Le tappe dell’itinerario

La chiesa vecchia di Donnaregina e il convento delle monache benedettine furono ricostruiti dopo il terremoto di Napoli del 1293 per iniziativa della regina Maria d’Ungheria, consorte di Carlo II d’Angiò. Grazie alle once d’oro generosamente donate dalla sovrana e alle rendite di certe vigne di Somma Vesuviana, la ricostruzione del complesso procedette alacremente fino all’inaugurazione del 1320. Si passò poi a decorare la chiesa con un grandioso ciclo di affreschi ispirati a una pedagogia agiografica modellata sulle esigenze di una comunità monastica femminile che nel frattempo aveva abbandonato l’ispirazione di Benedetto e Scolastica per votarsi al modello di Francesco e Chiara d’Assisi. Possiamo ipotizzare che gli affreschi siano stati realizzati nei due decenni tra il 1320 e il 1340 da un gruppo di maestranze locali che hanno lavorato in comune con gli allievi delle scuole pittoriche dei grandi artisti (Cavallini, Giotto, Simone Martini, Duccio e Lorenzetti) giunti a Napoli grazie al mecenatismo degli Angioini. Gli affreschi sono però rimasti ignoti per secoli, chiusi com’erano nella clausura delle Clarisse. Solo dopo le soppressioni del 1860 e il trasferimento delle monache a Santa Chiara gli ambienti claustrali furono recuperati. Ma gli affreschi erano ancora coperti da uno strato d’intonaco che fu rimosso solo nel 1875. Il primo a visitare Donnaregina fu Émile Bertaux che la trovò in completo abbandono e ne studiò le pitture. La chiesa subì importanti restauri e divenne la sede della Scuola di specializzazione in Restauro dei monumenti della Facoltà di Architettura dell’Università degli studi “Federico II”. Con la nascita del Madre e del Museo diocesano di Napoli gli affreschi sono oggi visitabili su richiesta.


La visione del Giudizio universale occupa l’intera abside della chiesa vecchia ed è suddivisa in tre sezioni verticali, alternate ai lunghi finestroni absidali.

La sezione centrale riporta la scena del giudizio. A pronunciarlo è Cristo, raffigurato all’interno di una geometrica mandorla ellittica, seduto sull’arcobaleno: ha un nimbo crociato sul capo, una tunica che lo riveste parzialmente e le piaghe della passione in evidenza; la sentenza favorevole è espressa dalla mano destra che si apre in segno di accoglienza, mentre la condanna è espressa dal dorso della mano sinistra che respinge i dannati. Gesù è scortato dall’arcangelo Michele, capo delle milizie celesti, armato di corazza, scudo e spada sguainata, che ha il compito di far eseguire le sentenze dalle schiere dei suoi angeli. Nell’alto dei cieli, accanto a Gesù, emergono anche le figure degli antichi canuti vegliardi: i Patriarchi Abramo, Isacco (con il capro in grembo) e Giacobbe. Ai due lati del Giudice sono affiancate le figure della madre di Gesù e del precursore Giovanni il Battista, in piedi, a mani giunte o aperte nella preghiera d’intercessione. Sotto la scena del Giudizio è rappresentata l’apparizione dei segni della Passione, la Croce con la corona di spine, sull’altare dell’etimasia. Ai lati dell’altare è la commuovente scena dei santi innocenti, vittime della violenza e dell’ingiustizia. Da loro sale al cielo l’invocazione di giustizia, raccolta nell’Apocalisse: «Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. E gridarono a gran voce: "Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?". Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida» (Ap 6, 9-11). Un angelo in volo suona la lunga tromba che annuncia ai morti il risveglio e la risurrezione. Un altro angelo strappa il cielo con gli astri e lo riavvolge in un rotolo, segnando così la fine del mondo e del tempo. A fianco dell’altare è un gruppo di quattro personaggi tra i quali è possibile riconoscere il re Davide, dalla cui stirpe proviene Gesù, e Disma, il buon ladrone con la croce, cui Gesù morente ha promesso l’ingresso in Paradiso. Nella parte bassa è rappresentata la risurrezione dei corpi. Al suono delle trombe degli angeli, i morti sepolti in terra, i corpi degli uomini sbranati dalle belve carnivore, i poveri annegati in mare per i naufragi e ingoiati dai pesci, ritornano alla luce e riprendono vita: le anime dei beati sono amorevolmente abbracciate dagli angeli e condotte in cielo. Un gruppo di quattro personaggi (la regina Maria? Profeti?) osserva gli avvenimenti in corso, li indica con il dito e li riconosce nei testi delle antiche profezie.


La sezione di sinistra raffigura il Paradiso. O, per essere più precisi, almeno tre diverse immagini del paradiso. Il primo è il Paradiso celeste, una grande comunione dei santi che procede sulle nuvole del Cielo, preceduta dai progenitori Adamo ed Eva, per raggiungere la corte degli Apostoli e dei Profeti. I dodici apostoli siedono sui troni secondo la promessa di Gesù: «Voi che mi avete seguito, quando, nella rigenerazione, il figlio dell’uomo siederà sul trono della sua maestà, siederete anche voi sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele» (Mt 19, 28). Qui a Napoli il tribunale celeste si allarga a comprendere i profeti che hanno annunciato nei loro scritti “il giorno di Jahvé”. Sopra di loro volteggia la moltitudine dei cori celesti degli angeli. La seconda immagine di Paradiso si trova in basso ed è il Paradiso terrestre, il meraviglioso giardino edenico ricco di piante e di fiori, circondato e protetto da mura merlate. Dopo il giudizio universale, le porte si sono riaperte e il cherubino di guardia con la spada sguainata è scomparso. È lo stesso Gesù, accompagnato dalla Donna Regina con il giglio degli Angiò in mano, a invitare i beati ad entrarvi, a cominciare dai Santi Innocenti e dai progenitori. Il lungo corteo dei beati comprende figure del vecchio e del nuovo testamento, i martiri, i confessori, i dottori della chiesa, i fondatori di ordini religiosi e le donne sante. Discretamente il corteo si allarga a comprendere i reali più in vista della famiglia angioina, a partire da Maria d’Ungheria e Carlo II e al figlio San Ludovico da Tolosa. Negli anni successivi l’affresco fu anche ritoccato per aggiungervi i “santini” degli altri reali angioini, nel frattempo deceduti.

La terza immagine di Paradiso è il Seno dei Patriarchi. Una immagine che è diventata popolare da quando il Vangelo di Luca ha riferito che il mendico Lazzaro «fu portato dagli angeli nel seno di Abramo». Immagine talmente popolare che nella chiesa delle clarisse di Donnaregina compare due volte.


La sezione di destra raffigura la grande scena del corteo dei dannati e, nella parte inferiore, la visione della struttura dell’Inferno. L’arcangelo Michele pesa sulla bilancia le anime dei risorti e consegna i dannati alle sue schiere di angeli sterminatori armati. Questi stormi di angeli sospingono i peccatori tra le braccia dei diavoli; l’effetto push delle lance e delle picche angeliche si somma ai rampini dei diavoli e i reprobi finiscono col perdere l’equilibrio e precipitare a testa in giù nella bocca del drago infernale. L’Inferno ha una struttura circolare. Al centro si riconoscono le mura merlate della città di Dite che ospita il volto orrendo di Lucifero, sovrano infernale. Alle base delle mura si aprono le botteghe dei diavoli punitori all’opera per arrostire i sodomiti infilati sullo piedone o per attizzare il fuoco sotto al pentolone che cuoce i corrotti. A sinistra del drago si colloca l’immagine del ricco Epulone che reclama invano una stilla d’acqua per rinfrescarsi la lingua. La parte inferiore dell’Inferno ospita una serie di crateri destinati ad ospitare le diverse categorie di dannati. La loro punizione prevede diverse pene: il lago di ghiaccio del Cocito, le tenebre, le spine dell’arbor mali, il fuoco che non consuma, l’olio bollente.

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