Itinerario nella provincia dell’Aquila

Giustizierato d’Abruzzo Ultra

Le tappe dell’itinerario

Quando l’attuale Abruzzo era declinato al plurale – Abruzzi – la provincia dell’Aquila era definita come il Giustizierato d’Abruzzo Ultra II. La provincia di Teramo costituiva l’Abruzzo Ultra I, mentre al di sotto del fiume Pescara si stendevano l’Abruzzo Citra, con capitale a Chieti, e il Contado di Molise. Oggi la provincia dell’Aquila comprende tutto l’Abruzzo interno, lungo una spina dorsale montuosa che scende dal Gran Sasso e dai Monti della Laga fino ai Monti Marsicani e alle Mainarde. Terra ballerina, la cui storia è segnata più dai rovinosi terremoti che dalla grande histoire événementielle. L’ultimo terremoto ha ferito gravemente L’Aquila nell’aprile 2009 e ha sommato allo strazio per le vittime il cruccio per le case e per i monumenti lesionati. Il nostro itinerario tra le immagini dell’aldilà in terra aquilana è inevitabilmente condizionato da danni, macerie e attesa di restauri.

Partiamo allora dalla Piana del Cavaliere per toccare la Marsica e Celano e inerpicarci sull’altopiano delle Rocche per poi scendere all’Aquila. Dopo una rapida puntata ad Assergi percorreremo la valle dell’Aterno lungo il Tratturo Magno per visitare le chiese di Bazzano, Fossa e Bominaco. Concluderemo in gloria, con il Paradiso di Pescocostanzo.


La Mater Indigentium tra Pereto e Rocca di Botte


Questo viaggio da brivido tra i Giudizi abruzzesi inizia tra i monti Carseolani, alla ricerca di un affresco del 1488, conservato nella Madonna dei Bisognosi (Mater indigentium), un santuario collocato in posizione mirabile su uno spalto del monte Vallevona, tra i comuni di Pereto e Rocca di Botte, a dominio della verde Piana del Cavaliere, sul confine tra Lazio e Abruzzo. Il pittore ha dipinto la sua visione del Paradiso e dell’Inferno, inserita nell’immagine più ampia del giudizio universale.

Un giglio e una spada spuntano dalla bocca di Cristo a simboleggiare la sentenza che premia gli eletti e condanna i reprobi. Attorno a Maria, a Giovanni e agli angeli con gli strumenti della Passione di Gesù, il Paradiso è affollato di beati. Ai piani alti ci sono gli evangelisti, gli apostoli, i patriarchi e i profeti. Si riconosce poi la schiera dei martiri il cui alfiere è Sebastiano. Seguono i dottori della Chiesa, i monaci e i frati, Francesco, Benedetto e le donne sante. Chiudono le gerarchie ecclesiali dei papi, cardinali, vescovi, preti e abati. Per questa foto di gruppo sotto le aureole, gli eletti sono tutti avvolti in ampi mantelli: qui sui monti il freddo non scherza. San Michele fa il presentat-arm, Enoc ed Elia indicano il giudice, qualche corpo risorge dalle tombe e precipitiamo all’inferno.

A fronte del Cristo giudice trionfante nell’alto dei cieli, al centro dell’inferno domina la grande figura diabolica di Lucifero incatenato. Intorno a lui, alle sue tre teste e alle due gole divoratrici compaiono quattro diversi gruppi di peccatori. Pensiamo che la fantasia dell’artista, ispirata dalla consulenza colta della committenza ecclesiastica, abbia collocato all’inferno l’incarnazione di tutte le maggiori paure dei buoni cristiani del tempo. Le punizioni infernali colpiscono con sadismo fisico o psicologico i colpevoli dei peccati più gravi per la mentalità del tempo.

Il primo gruppo di dannati è composto da animulae individuate dai cartigli che definiscono i sette vizi capitali: lussuria, gola, avarizia, superbia, ira, acidia, (i)nvidia. Questi peccatori si contorcono tra le grinfie di Lucifero, sono ingoiati dalle sue bocche, masticati, deglutiti, ruminati nelle sue viscere e infine defecati. L’intimo legame col principe del male ha un significato evidente: i sette peccati capitali sono all’origine di tutti i mali del mondo.

Un secondo gruppo di peccatori è costituito dai popoli votati alla dannazione a causa del loro credo religioso: turchi, tartari, iodei, maccabei. Questi popoli evocano la minaccia interna ed esterna al mondo cristiano; costituiscono i feroci aggressori dei confini esterni, orientali e meridionali dell’Europa e i sabotatori occulti della finanza e della prosperità economica delle comunità nazionali e locali. A questi gruppi nazionali si aggiungono nell’immaginario popolare interpretato dal pittore abruzzese anche i soldati, i mercatati, il traditore e cioè le quinte colonne, le compagnie di ventura, le truppe mercenarie, le bande irregolari della soldataglia, i protagonisti delle scorrerie, delle ruberie, dei saccheggi che assillano la tranquillità dei borghi di provincia.

Il terzo gruppo di dannati è costituito dai peccatori individuali che hanno contravvenuto alla morale comune e al diritto naturale, puniti dai diavoli secondo la pena del contrappasso. Si tratta degli ipocriti, del miciaro (contrazione del micidiaro, l’omicida), pugnalato allo stomaco, del biastematore, con la lingua strappata, del desperato, impiccato per un piede e accoltellato alla nuca, della meretrice, cavalcata da un demone.

Il quarto gruppo è quello dei mestieri, composto dai tipici personaggi di paese, dagli artigiani esosi e dai commercianti disonesti che assillano la povera gente e rovinano il sonno ai debitori. Si riconoscono il macellaro (il macellaio squartato sul bancone), il sartore (il sarto infilzato da un paio di forbici), il carpentero (il falegname colpito da un’ascia), il ferraro (il fabbro cui un demone infila un chiodo in fronte), il calsolaro (il calzolaio torturato da un trincetto), il tabernaro (l’oste annegato in una botte). Anche l’oste. I locandieri medievali non erano benvoluti. L’osteria era a un tempo bordello, ritrovo di ubriaconi, luogo di giochi proibiti, di litigi e risse. Con i suoi servizi luridi e i cibi adulterati, l’osteria era nei villaggi il ritrovo alternativo alla chiesa. E allora: oste della malora, va’ all’inferno!

Si può dire che le popolazioni rurali nei secoli passati trascorressero una parte della loro vita fuori da questo mondo, nel cielo, nel purgatorio o all’inferno. Era la loro immaginazione a portarveli durante il lavoro, nei momenti di svago o durante un pellegrinaggio devozionale (come quello al santuario della Madonna dei Bisognosi). Tra “quaggiù” e “aldilà” si creava una sorta di scambio permanente, un flusso di relazioni a doppio senso. Le immagini dell’aldilà, i grandi affreschi sui regni escatologici collocati nelle chiese e nei monasteri, facilitavano questo transfert. Osservando gli inferni dipinti, la gente di paese elaborava le sue paure, collocava idealmente all’inferno i suoi incubi e affidava alle mani di Lucifero i suoi nemici.

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