Itinerario in Umbria

Terni. La visione ultraterrena della famiglia Paradisi

Le tappe dell’itinerario

Avvicinandosi a Terni l’occhio cerca le rovine di Carsulae, il parco di Sangemini, il profilo di Acquasparta, le torri di Narni, la cascata delle Marmore, l’eremo di Sant’Erasmo, i monti di Stroncone. Non siamo ancora nel “cuore verde” dell’Umbria, ma certo è una bella anticamera. E perfino la Terni delle acciaierie, la città industriale e operaia, nasconde in scrigni pudichi i suoi piccoli tesori d’arte. Uno di questi tesori è la Cappella Paradisi, vanto della chiesa di San Francesco, interamente rivestita dagli affreschi che Bartolomeo di Tommaso da Foligno dipinse intorno al 1450 su richiesta della famiglia Paradisi. La visione del mondo ultraterreno è declinata sulle tre pareti: la centrale reca le immagini del Giudizio universale e del Paradiso; la parete di destra è dedicata all’Inferno e la sinistra al Purgatorio e al Limbo.


Il giudizio finale


Nella lunetta della parete di fondo è descritta la seconda venuta del Signore. Il Cristo appare nella mandorla, dopo aver sfondato i cieli, seduto sull’arcobaleno della nuova alleanza. Pronuncia con le mani il giudizio, di benedizione per gli eletti e di ripulsa per i dannati, esibendo le cinque piaghe del suo sacrificio che ha reso possibile la redenzione dell’umanità. Il Cristo ha testa sormontata da un’aureola che incorpora il segno della croce e indossa una tunica azzurra, coperta da un magnifico manto rosso. Intorno a lui fanno corona le schiere degli angeli musicanti con trombe e liuti. Al giudizio divino partecipano gli intercessori: la Madonna, a sinistra, con le mani giunte in preghiera; Giovanni Battista, il precursore, a destra. Sotto la mandorla sono i tre grandi arcangeli; al centro è Michele, in abiti militari, che comanda le schiere dell’armata celeste e sguaina la spada per l’esecuzione del giudizio divino, che separa i risorti (appena visibili nell’angolo inferiore della lunetta) inviandoli tra i beati o i dannati. Nel cielo paradisiaco, intorno al giudice, sono anche presenti i patriarchi biblici, i giusti dell’antico testamento, che Cristo (come si vede nella parete a fianco) ha liberato dal Limbo dei Padri. Tra questi si riconosce il patriarca Abramo che reca in grembo le anime dei beati, tra le quali è l’anima del povero Lazzaro.


Il Paradiso


La fascia dipinta sotto la lunetta è dedicata al Paradiso o, per essere più precisi, alla folla di beati che si accalca davanti alla porta che vi dà accesso. La porta è chiusa e vigilata da un angelo armato di spada, come ricorda il libro della Genesi: «Dio scacciò l'uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all'albero della vita» (Gen 3,24). La guardia d’onore del Paradiso è costituita dagli Apostoli: un’innovazione rispetto alla tradizione iconografica che li vede abitualmente sedere sui troni del tribunale celeste ai lati del Giudice; come pure innovativo è il loro numero: sono infatti quattordici e non dodici, dato che comprendono anche Paolo, ritratto con la spada, e Barnaba. San Pietro apre la porta del cielo con le chiavi conferitegli da Gesù e invita i beati ad entrare. A sinistra è il gruppo maschile, con gli ecclesiastici e i santi fondatori di ordini; tra tanti giganti della santità fanno capolino – ritratti in dimensioni molto più modeste – i membri della famiglia Paradisi (nomen omen!). A destra è il gruppo femminile che comprende le donne sante, le vergini e le fondatrici di ordini religiosi.


L’Inferno


La parete di destra, molto danneggiata, è dedicata all’Inferno. Nelle due semilunette a sinistra e a destra del finestrone, in alto, gli angeli guerrieri, armati di spade e di lance, si avventano con violenza sulle anime che prendono progressivamente coscienza della loro condanna e se ne disperano, le raggruppano in un triste corteo e le cacciano violentemente entro le buche infuocate che mettono in comunicazione con l’inferno. La grande immagine in basso descrive la realtà che si cela sotto la crosta terrestre: un confuso percorso di cripte rocciose e di buie caverne  che ha come terminale in basso l’antro destinato alla residenza di Lucifero, il re dell’inferno. Un gruppo di diavoli cornuti, con ali da chirottero, accoglie a suon di botte i dannati che precipitano dalle botole verso le quali erano stati spinti dagli angeli vendicatori. I reprobi vengono poi destinati alle celle punitorie. Un diavolo tiene con le molle una moneta arroventata e costringe un avaro a trangugiarla. Un sodomita è impalato su uno spiedo. I lussuriosi sono torturati da sadici diavoli. I golosi sono costretti a distogliere lo sguardo dalle leccornie svelate sul piatto. L’invidioso sputa dalla bocca un serpente velenoso. Gli accidiosi sono costretti all’autolesionismo mentre incassano bastonate dai diavoli. Non manca la pena della caldaia arroventata. L’acme della ferocia si raggiunge nello spazio di Lucifero. Qui i superbi e i traditori, torturati da viscidi e intraprendenti serpenti, sono portati a spalla dai diavoli e sono buttati in pasto al famelico massacratore. Il grande Satana artiglia i peccatori con le sue mani e le zampe unghiute, li stritola, li divora con la bocca o con i rostri d’aquila che ha sui pettorali e dopo averli ruminati li defeca come supremo oltraggio. Un leone tra le gambe di Lucifero ingurgita altri dannati.

Le immagini convincevano i devoti visitatori a ripetere un antico testo liturgico: Domine, Iesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni et de profundo lacu. Libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas tartarus, ne cadant in obscurum; sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam, quam olim Abrahae promisisti et semini eius (Signore Gesù Cristo! Re di gloria! Libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene dell'inferno e dalla fossa profonda! Liberale dalla bocca del leone, affinché non vengano inghiottite dal Tartaro, e non cadano nell'oscurità: ma l'alfiere san Michele le porti nella luce santa, che un tempo hai promesso ad Abramo e alla sua stirpe).


Il Purgatorio


La parete di sinistra descrive la visione del Purgatorio in modo speculare alla visione infernale visibile sull’opposta parete. Anche il Purgatorio è strutturato in un sistema ipogeo di caverne sovrapposte,  brulicanti di peccatori. Si riconoscono dalle scritte le prigioni che ospitano gli accidiosi, i vanagloriosi, gli avari, gli iracondi e i lussuriosi. Ma è radicalmente diverso l’atteggiamento dei purganti rispetto ai dannati di fronte: non sono disperati, anche se qualche volta appaiono affranti per la lunghezza della pena; la maggioranza di loro è in atteggiamento di attesa e di preghiera; e in molti di loro il volto brilla della speranza per una imminente liberazione. Al posto dei diavoli torturatori l’aere è popolato di angeli misericordiosi e premurosi che si lanciano in picchiata sulle anime ormai purificate per sollevarle dal fondo delle loro sofferenze, aiutarle ad uscire dagli avelli del purgatorio, sostenerle nell’incerta ascesa verso il paradiso, traghettarle su nuvole a forma di vascello volante e addirittura spingerle con decisione a sfondare i sette cieli per raggiungere la beatitudine della visione di Dio.


Il Limbo


Sul margine alto del Purgatorio vi è ancora un luogo ultraterreno, che il pittore ha voluto inserire nella sua visione dell’oltretomba. Questo luogo è il Limbo, che nella tradizione accoglie le anime dei giusti non cristiani. Nella storia il Limbo è stato pensato per accogliere i bambini innocenti morti senza battesimo (il Limbo dei pargoli), oppure i non cristiani morti santamente (il Limbo dei giusti) o i fedeli di Jahve dell’antico testamento morti prima della risurrezione di Gesù (il Limbo dei Padri). Ed è esattamente a quest’ultimo gruppo che il pittore fa riferimento. Il suo Limbo è lo Sheol ebraico dove le anime dei morti non possono essere punite ma sono soltanto private della visione di Dio. La scena descrive un articolo del Credo dei cristiani: quel “discese agli inferi” che nell’intervallo tra la sua morte e la sua risurrezione, accenna all’azione di Gesù per la liberazione delle anime prigioniere dello Sheol a testimonianza della nuova alleanza stabilita tra Dio e gli uomini. La bella figura del Cristo vittorioso impugna il vessillo reale, sfonda le porte infere e invita i carcerati a uscire per godere della loro meritata libertà. Il corteo dei progenitori Adamo ed Eva, dei patriarchi, dei re giusti, fino ad arrivare a Giovanni Battista, si avvia così a godere della visione beatifica di Dio.


Enoc, Elia e i profeti


L’articolata iconografia dei luoghi dell’aldilà si completa con le immagini dipinte nel sottarco e sulla parete d’ingresso. Nel sottarco – quasi a introduzione dei temi descritti nella cappella – compaiono le immagini dei profeti che ci hanno trasmesso la descrizione del “giorno di Jahve”: Geremia, Daniele, Malachia, Isaia, Giona, Abdia. Sulla parete d’ingresso, sopra l’arco, il pittore ha voluto porre la rarissima immagine del patriarca Enoc e del profeta Elia. Secondo il racconto biblico Enoc ed Elia non sono morti ma sono stati trasportati vivi in cielo e posti a guardia del Paradiso terrestre. Ed è nell’Eden, serenamente distesi in ambiente bucolico, che oggi li vediamo attendere il giorno del giudizio universale.

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