Itinerario in Umbria

Assisi. Il Giudizio finale dei Francescani

Le tappe dell’itinerario

La Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi custodisce un grande affresco del Giudizio universale dipinto da Cesare Sermei nel 1623. L’affresco occupa la semicalotta absidale della basilica ed è stato steso coprendo un dipinto precedente.  Pur se commissionato direttamente dai francescani, l’opera è stata sempre malvista e sopportata come un’intrusa in un ambiente che ospita tesori d’arte dei maggiori artisti italiani. Tuttavia i restauri del 2009 hanno almeno eliminato la patina di grigio che il fumo dei ceri aveva depositato sul dipinto e ne hanno riconsegnato tutta la luminosità degli antichi colori. Il Giudizio può quindi essere guardato oggi con occhi diversi. Se ne possono apprezzare, ad esempio, le soluzioni adottate per fronteggiare il condizionamento causato dalle tre profonde finestre e l’utilizzo di tutti gli spazi disponibili, anche quelli più celati alla vista dei fedeli. Non sfuggiranno le numerose citazioni dal giudizio michelangiolesco. Ma soprattutto andrà meditato il suo significato: l’esaltazione degli ordini francescani come mediatori della salvezza alla fine dei tempi e intercessori per le anime purganti.


La parte alta dell’affresco è dedicata alla visione del Giudice e della corte celeste. Gesù è raffigurato in piedi, su una nuvola, sovrastato dalla figura di Dio Padre, nell’immagine trinitaria tipica della Controriforma. Sullo sfondo è l’empireo luminoso e dorato, nel quale spiccano i nove cori degli angeli. Gesù ha un’aureola sul capo, indossa una tunica svolazzante annodata sul fianco e mostra le piaghe delle mani, dei piedi e del costato. La mano destra è sollevata nel gesto solenne del giudizio, mentre la mano sinistra allontana i dannati. Intorno a Gesù, anche loro in piedi, sono presenti gli Apostoli e i Martiri. Si riconoscono facilmente San Pietro con le chiavi, San Paolo con la spada, San Bartolomeo con la pelle strappatagli nel martirio, San Biagio straziato con i pettini chiodati usati per cardare la lana, il buon ladrone Disma con la sua croce, Longino con la lancia. Ai piedi di Gesù sono raffigurati seduti gli intercessori Giovanni il Battista e Maria, la madre di Gesù. A fianco della Madonna siedono le altre due Marie. Il Battista dialoga con gli evangelisti e i profeti impegnati a trascrivere nei loro libri la visione di quanto sta accadendo nel giorno del giudizio. Il cerchio dei personaggi che circondano Gesù è chiuso dai progenitori, Adamo ed Eva, con i fianchi cinti di foglie di fico e dal gruppo di tre angeli trombettieri che suonano le trombe per risvegliare i morti.


Il Paradiso è riservato, almeno nei posti d’onore, allo stuolo dei frati Francescani e delle monache Clarisse. Si riconosce facilmente San Francesco, che ha le stimmate sulla mano e, sull’altro lato, Chiara, a braccia incrociate sul cuore, indicata al Giudice dalle consorelle velate. Seguono poi i cardinali e i pontefici che hanno protetto l’Ordine francescano e ne hanno riconosciuto la Regola. Alle spalle delle Clarisse appare la platea delle sante Martiri, con la palma in mano. Ai primi posti si riconoscono Santa Caterina d’Alessandria, che regge la ruota del martirio, in conversazione con Sant’Agnese che ha un agnello in braccio.


La fascia inferiore dell’affresco contiene le scene della risurrezione dei morti, della salita al Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno. La scena introduttoria è quella dell’apertura dei libri del giudizio a cura degli angeli. Il libro di sinistra espone le pagine con l’invito Venite benedicti Patris mei («Venite benedetti del padre mio»), pronunciata dal Cristo ai beati nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Il libro di destra riporta invece il versetto del capitolo 20 dell’Apocalisse dedicato ai dannati: et qui non est inventus in libro vitae scriptus missus est in stagnum ignis («E chi non risultò scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco»).

I morti risorgono alla loro seconda vita fuoriuscendo dai sepolcri, qui resi come una lunga fenditura delle rocce. Le ossa si rianimano, compongono gli scheletri, si liberano dei sudari e si rivestono della carne, fino a riacquistare le forme umane originarie. Tra i risorti, affacciato sull’abisso e rivestito degli abiti da cordigero francescano, è l’autoritratto del pittore Cesare Sermei.

Alcuni risorti ascendono al cielo con le proprie forze e grazie alla leggerezza del loro spirito puro. Altri risorti devono invece ricorrere alle braccia e alle spalle degli angeli per essere sollevati verso l’alto. Anche il cordone del saio francescano assolve il ruolo di ausilio ascensionale: i risorti si aggrappano al cordone e risalgono le tappe della beatitudine con un trasparente riferimento al ruolo intercessorio dell’Ordine. E non manca il sostegno di un frate a un confratello in difficoltà sul ripido pendio della virtù. La vicina immagine del Purgatorio rafforza l’ammonimento ad avvalersi degli strumenti di penitenza per l’espiazione dei propri peccati: solo così può affrettarsi il tempo di purificazione tra le fiamme del Purgatorio; scenderanno allora gli angeli a liberare i purificati e a incoronarli con la corona della giustizia. Le scene di risurrezione continuano anche sulle pareti sfondate della prima finestra. Segue poi la possente figura dell’arcangelo Michele con l’armatura, il cimiero e la spada sguainata, che indica ai risorti la loro destinazione definitiva. Ai suoi piedi è l’immagine decomposta della morte, ormai definitivamente sconfitta.


La seconda finestra separa anche fisicamente il mondo della beatitudine dal regno infernale. Lo spazio tra la seconda e la terza finestra è occupato da Lucifero, il re dell’Inferno, col pizzetto sul mento, le corna, le orecchie e le unghie ferine. Le catene gli bloccano il collo e le caviglie, legandolo eternamente a una grande roccia. Maneggia rabbiosamente i serpenti gli avvolgono il corpo. L’unica comodità di cui dispone è quella di utilizzare come sgabello il corpo o la schiena di sgomenti dannati. I risvolti delle vicine finestre riportano l’immagine inquietante della caverna infernale e le scene dei dannati arpionati dai diavoli e gettati tra le fiamme. A destra è descritta l’ampia scena dell’Inferno. Caronte traghetta sulla sua barca i reprobi verso un infelice destino. Usa il suo lungo remo sia per guidare la barca sulle paludi infernali, sia per scaraventarne fuori i dannati, accelerando le operazioni di sbarco. Non v’è spazio libero in questo carnaio di anime e di corpi che bruciano tra diavoli-salamandre, trattati senza il minimo riguardo e con sadica ferocia torturatrice. Un avaro che anche all’inferno stringe tra le mani avide il sacchetto col suo gruzzolo di soldi è tirato giù dalla barca con una catena che lo strangola. Una donna invidiosa, calunniatrice e pettegola, tenta troppo tardi di strapparsi la lingua che ha causato la diffamazione e la rovina dei suoi vicini. Prelati e confratelli incappucciati non sfuggono alla punizione che condanna la loro ipocrisia e falsità. Sulla barca compare anche un personaggio col turbante; si tratta probabilmente di Maometto, spedito all’inferno nell’eco della vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto.

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