Itinerario nella provincia di Frosinone

Cose dell’altro mondo in Ciociaria

Le tappe dell’itinerario

La fine del mondo a Sora


La città di Sora è la nostra nuova tappa. I monti Ernici e le Mainarde fanno ancora da cornice. Ma siamo ormai in pianura, intorno al fiume Liri che si allunga verso le cartiere di Isola e la valle Latina. Per gustare un panorama completo (e mozzafiato) di Sora e del suo territorio occorre salire i quattrocento gradini a picco sulla città che si arrampicano verso la chiesa della Madonna delle Grazie. Si aggirano poi le rocce e le pareti del Colle San Casto e si raggiunge il Castello. Qui ci si affaccia sui quattro punti cardinali. Una fatica molto remunerativa. Il nostro vero obiettivo è però nel cuore della città, alla base del colle, lungo il corso dei Volsci. E’ la chiesa di santa Restituta, dedicata ad una giovane cristiana martirizzata nel 275 dopo Cristo e oggi patrona della città. Le tre grandi porte di bronzo sono state scolpite per l’anno santo del 1975 da Tommaso Gismondi, il popolare scultore di Anagni, morto nel 2003. Gli episodi raccontati nel bronzo accendono la curiosità dei visitatori e dei fedeli. La porta di sinistra racconta – in altrettante formelle – episodi della storia della salvezza: la nascita di Gesù, la fuga in Egitto, la strage degli innocenti, Gesù che cammina sulle acque, la Maddalena, il figliol prodigo, il buon samaritano, il pastore con la pecorella smarrita, Lazzaro ed Epulone, la crocifissione di Gesù, la pentecoste. L’ultima formella di bronzo fuso è dedicata alla “fine del mondo”. Il soggetto è originalissimo e raro. Sulla scena è un uomo terrorizzato. L’espressione atterrita del volto è efficacissima, indimenticabile, ed è accentuata dai suoi capelli ritti. Di fronte a lui una grande colonna si frantuma in tre parti e si schianta per effetto del terremoto.  Forse sulla scelta iconografica dello scultore Gismondi ha influito il ricordo del terremoto del 1915 che distrusse la Marsica e la stessa cattedrale di Santa Restituta. O il ricordo dell’apocalittica distruzione dell’abbazia di Montecassino sotto le bombe degli aerei alleati nel 1944.  Ma la descrizione del terrore che accompagna la fine del mondo e che precede il giudizio finale ha la sua fonte nell’Apocalisse. E’ l’episodio giovanneo del terremoto successivo alla rottura del sesto sigillo e al suono della quinta tromba.

“Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue,  le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi.  Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?” (Apocalisse 6, 12-17).

Due sono gli elementi chiave di questa visione: la serie di sconvolgimenti naturali, interpretati dagli uomini come segni dell’ira del giudice, e il terrore degli uomini. Dinanzi a tale spaventoso cataclisma gli uomini restano sbigottiti e fuggono in preda al panico. E’ un comportamento che era stato già descritto dal profeta Isaia: “Penetrate nelle caverne delle rocce e nei meandri sotterranei, per il terrore di Jahve e per lo splendore della sua maestà, quando si leverà a scuotere la terra” (Isaia 2, 19); e dal profeta Osea: “Allora diranno ai monti: ‘copriteci’! E alle colline: ‘cadeteci addosso’!” (Osea 10,8).

Anche nel Medioevo il terremoto continuerà ad essere individuato come un indizio del finimondo. Sarà anzi inserito tra i 15 segni premonitori del giudizio finale, secondo una tradizione letteraria che ha avuto i suoi interpreti nel venerabile Beda, in Jacopo da Varazze e in Agostino da Tagaste. I 15 segni del giudizio finale sono stati anche descritti in Italia negli affreschi sulla volta della chiesa di San Legonziano a Lanciano, in Abruzzo e, da Luca Signorelli, nel Finimondo della cappella di San Brizio nel duomo di Orvieto.

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