Monte Sant’Angelo rupestre

Il cuore di Monte Sant’Angelo è una grande grotta scavata nella roccia. Qui, secondo la tradizione, nel 490 apparve l’arcangelo Michele. Da allora la grotta fu venerata come luogo sacro e il santuario che la ingloba diventò uno dei luoghi di pellegrinaggio più noti della cristianità. Santuario dei Longobardi, Monte Sant’Angelo divenne tappa obbligata dei palmieri, i pellegrini che scendevano da tutta l’Europa a Roma, alle tombe degli apostoli, e proseguivano poi per la Terrasanta e il Santo Sepolcro di Gesù, andando a imbarcarsi nei porti pugliesi. La cittadina è appollaiata su uno spalto roccioso del promontorio del Gargano che guarda verso il mare dall’alto di profondi e inospitali valloni. Alle spalle digrada invece la verde Valle Carbonara che si allunga verso San Giovanni Rotondo e San Marco in Lamis. A sinistra si distendono i boschi della Foresta Umbra. L’inserimento nel Parco nazionale del Gargano e nel Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco, arricchiscono l’interesse della visita. Quello che proponiamo è un itinerario di scoperta del mondo rupestre, dove la grotta dell’arcangelo è solo il luogo-simbolo più noto di una forma di vita in grotta che si è sviluppata, fino ancora al secolo scorso, all’interno dell’abitato (con il rione Junno e il rione Grotte, oggi risanati) e intorno alle creste rocciose o nelle pieghe dei valloni che dagli ottocento metri del Monte scendono ripidamente sulla striscia di costa.

L’itinerario

Il sentiero “Scannamugliera” e la chiesa rupestre dello Jazzo Ognissanti


Il nome del sentiero è certamente curioso e originale. L’erta da superare per salire dal mare al Monte era talmente ripida da sfiancare chiunque si avventurasse su quelle rupi al tempo in cui non esistevano strade asfaltate. E il nome di “scannamugliera” (anche se non mancano etimologie più dotte) testimonia la sfiducia nelle capacità di resistenza delle mogli e in generale delle persone più deboli. L’antica mulattiera era percorsa dai pellegrini sin dalle origini del culto di San Michele. Ma soprattutto era la via percorsa da contadini e pastori che volevano raggiungere le grotte, gli stazzi e i campicelli d’altura. Restaurato, attrezzato e messo in sicurezza, oggi il sentiero storico naturalistico è ancora in grado di attrarre camminatori curiosi. La lunga serie di scalini scavati nella roccia, il panorama sul golfo di Manfredonia, le grotte ancora oggi utilizzate come stalle, la chiesa rupestre nello Jazzo di Ognissanti ne sono le migliori attrattive. Per limitare la fatica conviene affrontarlo in discesa da Monte Sant’Angelo, sostando a Ognissanti e risalendo poi al paese. In questo modo il percorso di andata e ritorno richiede due ore.

Dal centro del Monte si percorre Via Verdi e si raggiunge la partenza del sentiero in fondo a Via Sant’Antonio Abate. Un pannello, una tavola di orientamento e un’area di sosta introducono alla discesa. La ripida pedagna, una scala dai gradini di pietra modellati sulla forma dei piedi, protetta da un mancorrente di legno, scende fino alla grande roccia sormontata da una croce. Qui è l’ipogeo di santa Lucia, una grotta accuratamente scavata nella roccia, adibita a stalla. Proseguendo nella discesa il sentiero raggiunge un bivio. Il percorso di destra si abbassa rapidamente nel vallone per raggiungere, dopo una lunga discesa, il borgo di Macchia. Noi seguiamo invece il percorso di cresta sulla sinistra, che si tiene alto sull’orlo del vallone. La località successiva è nota come Ripasanta. Perlustrandone l’area si osservano muretti a secco e ripari. Più in basso le cose si complicano. Il sentiero è sempre ben segnato da bandierine bianco-rosse e paletti di legno, ma un privato ha recintato l’area chiudendo la prosecuzione del sentiero. Occorre cercare un varco o aprirlo. Il percorso si sposta sulla sinistra della cresta e supera un traliccio dell’elettrodotto. In basso compaiono i terrazzi coltivati e le aie antistanti le grotte. Si raggiunge infine lo Jazzo che consiste in un sistema di grotte su più livelli, di muri a secco, di recinti e di scalinate intagliate nel banco roccioso. Incredibilmente, in una delle stalle, in una confusione indescrivibile e accanto alla soppalcatura del fieno, appaiono sul muro di sinistra alcuni affreschi trecenteschi molto rovinati ma ancora leggibili. L’immagine dell’arcangelo Michele, affiancata da una Madonna con bambino, segnalano che ci troviamo nella chiesa rupestre di Ognissanti, tappa rituale e devozionale dei pellegrini che salivano alla grotta dell’arcangelo sul Monte. Disponendo di tempo, muovendosi con la necessaria precauzione su terreno roccioso e ripido, si può esplorare l’insediamento rupestre nel suo complesso. Si ritorna al punto di partenza, alternando la faticosa risalita a riposanti soste per ammirare la splendida falce del mare di Manfredonia, le ruvide creste e i profondi valloni garganici.


I cavernicoli di Tommaso Fiore


Ma è proprio vero che sui fianchi di Montesantangelo, come poi su in cima, molta gente vive ancora in grotte? E del resto anche l’arcangelo protettore è un cavernicolo. Iniziava così un’esemplare inchiesta-reportage dello scrittore pugliese Tommaso Fiore che documentava nel 1955 le condizioni di vita dei contadini nelle grotte di Monte Sant’Angelo. Fu ai tempi di Murat, quando si sciolse il vincolo feudale, che le aspre rupi e i valloni tra il paese e il mare non furono più rivendicati da nessuno. Ecco perché potettero scendere giù dal Monte contadini cacciati dal bisogno, ecco perché con le loro mani vi scavarono abitazioni, con le loro mani ritrovarono, ammucchiarono, difesero, lavorarono quel po’ di terra, ricolsero l’acqua piovana per sé e per i loro microscopici orti, piantarono ulivi tra pietra e pietra. Nulla da allora è mutato: la stessa grotta per dormire, la stessa acqua per bere. Molti debbono vivere nei fianchi della montagna, ricoverarsi in buche scavate nella roccia scoscesa. Sono circa tremila famiglie costrette dentro le buche-case. Tommaso Fiore sale al Monte, scende sui sentieri, visita le famiglie nelle grotte, intervista persone umilissime e notabili. E racconta. Bisogna scendere di pietra in pietra per un miracolo di equilibrio, fino a che si para innanzi, oltre un orticello, il quadro più pauroso che si possa vedere. Tutta la scena non è che pietrame nudo, in semicerchio, e le grotte si allungano su piani diversi, non diversamente che a Matera, senza che nulla allieti o distragga, non un albero, non una foglia di basilico, non un fiore. La montagna nei cui fianchi è tracciata la via serpentina, fa davvero paura, nient’altro che pareti a strapiombo, rupi lì lì per precipitare. A destra, invece, dall’altra parte della valle, i fianchi meno ripidi han consentito ai contadini la solita fatica della disperazione, raccogliere un cesto di terra, trasportarlo sul luogo, concimarlo, difenderlo come meglio si può con muricce contro la guerra degli elementi, piantarvi qualche cosa a ogni costo. E conclude: Il prodigio di un lavoro immenso, di un’opera paziente, senza limiti, forsennata, di un popolo di formiche, o di schiavi ostinati, e il sacrificio di generazioni in generazioni di lavoratori.

Per approfondire

I siti del Comune di Monte Sant’Angelo (www.montesantangelo.it), della promozione turistica locale (www.turismomontesantangelo.it) e del santuario (wwwsantuariosanmichele.it) sono ricchi di informazioni e di immagini. Un bel sito (www.laviadellangelo.it) promuove la Via Peregrinorum alla grotta micaelica sul Gargano. Altre proposte di cammini diretti alla grotta dell’arcangelo sono la via Micaelica da Roma e Montecassino proposta dall’associazione Iubilantes (www.iubilantes.it) e il Cammino dell’Arcangelo con partenza da Benevento proposto dal Cai (www.camminodellarcangelo.it). Stimolanti sono anche i siti www.viefrancigenedelsud.it e www.viefrangigenedaune.com/. Il sito del Parco nazionale del Gargano (www.parcogargano.it) consente la visita virtuale del Parco e propone suggestivi itinerari. L’inchiesta di Tommaso Fiore è pubblicata con il titolo “La montagna irredenta (Viaggio non sentimentale alla scoperta dei cavernicoli)” nel suo Il cafone all’inferno (Einaudi, Torino, 1955).

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