Itinerario nella provincia di Aosta

Issime. La Babilonia infernale e la barca di Caronte

Le tappe dell’itinerario

Da Pont-Saint-Martin risaliamo la valle del Lys in direzione di Gressoney. Sostiamo a Issime, attratti dalla chiesa che fiancheggia il cimitero, in riva al fiume. La chiesa, monumento nazionale, è dedicata all’apostolo Giacomo il maggiore; la statua dell’apostolo, rivestita dei panni del pellegrino compostellano, sovrasta il portale. La facciata prospetta su un cortile  dov’è una sfilata di quindici nicchie che illustrano i misteri del rosario. L’attenzione si concentra però sulla grande rappresentazione del Giudizio universale, certamente la più interessante di tutta la Val d’Aosta. Qui nell’adret è una costante: il giudizio universale campeggia irritualmente sulla facciata esterna delle chiese, grande, vivibile, ammonitore. L’affresco di Issime è opera di Francesco Biondi;  risale agli anni tra il 1698 e il 1700 e ha una lunga storia di rifacimenti e di restauri.


La lettura dell’affresco può iniziare dal cartiglio sorretto da due angeli e dipinto in posizione centrale sopra la finestra; il cartiglio svolge la funzione del ciak, la lavagnetta del cinema che annuncia l’azione, l’incipit del giudizio finale: «Iudicium: sedit et libri aperti sunt et iudicabuntur mortui ex his quae scripta sunt in libris». Si tratta di una doppia citazione, estratta dal libro di Daniele e dall’Apocalisse. La profezia di Daniele (7, 10) recita infatti «La corte sedette e i libri furono aperti». E l’Apocalisse (20, 12) conferma: «I libri furono aperti. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati secondo le loro opere, in base a ciò che era scritto in quei libri».


Il timpano del frontone reca la scena del Cristo giudice e degli intercessori. Il Salvatore siede sull’arcobaleno della nuova alleanza e poggia i piedi sul globo terrestre in segno di signoria regale; è rivestito di un mantello del colore rosso del martirio; mostra le piaghe della sua passione; col gesto della mano destra accoglie i salvati e con la mano sinistra respinge i dannati.  Sua madre, Maria, in ginocchio a mani giunte, si rivolge al Figlio con un’accorata preghiera, pregandolo di temperare l’ira e abbondare nella misericordia. Lo stesso ruolo di intercessore è giocato da Giovanni il Battista, anche lui ritratto nel gesto della preghiera e dell’abbandono fiducioso alla volontà del Cristo. La scena è riempita da frotte di servizievoli putti alati.


La striscia di affresco sottostante è dedicata al Cielo: è suddivisa in tre parti, con un rettangolo centrale e due trapezi laterali. Al centro volano sette angeli trombettieri che suonano le loro lunghe bùccine arcuate per risvegliare i morti e chiamarli al giudizio. Sulle nuvole - che fungono da spalti del Paradiso celeste - siedono i santi e i beati dell’antico e del nuovo testamento. Tra gli apostoli sono rappresentati Giacomo il maggiore (cui la chiesa è dedicata), Pietro (con le chiavi) e Paolo (con la spada). Tra i patriarchi biblici si riconoscono Mosè (con le tavole della legge), Davide (con l’arpa), Salomone (con il progetto del Tempio), Abramo (con il bastone), Noè (con le tavole dell’arca). Vi sono poi i profeti e le sibille che annunciarono il giudizio finale. Sul fronte opposto sono le donne sante, i martiri con le palme (tra i quali Santa Caterina d’Alessandria con la ruota dentata), i santi fondatori di Ordini (Francesco e Domenico), le gerarchie ecclesiali (il Papa col triregno e il porporato con la berretta).


Il particolare più interessante e innovativo dell’affresco, che è assai raramente descritto in dipinti sullo stesso soggetto, è la presenza della città apocalittica di Babilonia. La città infernale è fotografata per esteso, in campo lungo, sopra i portale. Se ne ammirano tutti i monumenti classici, gli archi di trionfo, i pantheon, le absidi, le cupole, le rotonde, le colonne. L’associazione con la Roma della classicità è immediata. Sull’orizzonte monumentale di Babilonia-Roma si scatena una pioggia di fuoco, la caduta delle stelle, una tempesta di lampi e fulmini. La fonte di questa immagine è Giovanni, che ci mostra nel capitolo 18 dell’Apocalisse la teatrale e tragica visione di Babilonia in fiamme. Una voce potente dal cielo ne annuncerà la distruzione: «in un solo giorno verranno i suoi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco». Poi un angelo scenderà dal cielo abbagliando la terra col suo splendore e gridando a gran voce: «È caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demòni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro e rifugio di ogni bestia impura e orrenda». E intorno al fumo del suo incendio si raccoglieranno i potenti della terra in lutto a piangere la perdita della città amata e il dissolversi del loro potere.


Nella parte centrale bassa della facciata, a sinistra del portale, è la scena della risurrezione dei morti, aiutati dagli angeli a sollevarsi dai loro sepolcri. Il volet di sinistra è dedicato al Purgatorio, descritto secondo la tradizione come una vasca fiammeggiante nella quale sono temporaneamente collocati i peccatori che devono espiare le proprie colpe. Terminata la purificazione dai peccati, i corpi dei purgati sono raccolti dagli angeli e iniziano l’ascensione verso il Cielo.


La parte più mossa dell’affresco è l’Inferno: demoni in forma di uomini o di animali artigliano i dannati emergenti dai sepolcri e li imbarcano sul vascello di Caronte verso l’eterna punizione del fuoco. Al margine dell’Inferno si riconosce forse la caverna del Limbo, chiusa da una massiccia grata ferrata. Un tempo la barca di Caronte, riferimento pagano che Michelangelo inserì nel Giudizio della Sistina, destò lo sdegno dei cardinali della Curia controriformista; oggi questa barca periclitante tra i gorghi dei fiumi infernali sembra piuttosto evocare peripezie di canoisti e kayak o il rafting sui ribollenti torrenti di queste valli alpine. Oppressi dalle lingue di fuoco e dall’afrore dei dannati, alziamo gli occhi verso il Monte Rosa, tormentato dai ghiacciai: si svelano misteriose consonanze. Pene di fuoco, tormenti di gelo. La parete est del Rosa emerge così dalle pagine di Buzzati: «congelata in un disordine selvaggio, scena sconvolta di sfatte rupi, tragiche macerie di ghiacci scaraventate giù, canali fradici che si intersecano tra massi pencolanti, disgregazione delle cose…».

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