Itinerario nella provincia di Siena

Siena. Il Giudizio finale di Giovanni di Paolo

Le tappe dell’itinerario

Giovanni di Paolo è un protagonista della pittura senese del Quattrocento. La Pinacoteca nazionale di Siena ne custodisce alcune opere, ben inserite nel repertorio della grande arte senese che va da Duccio di Buoninsegna ai Lorenzetti, da Simone Martini al Sassetta, da Francesco di Giorgio a Matteo di Giovanni fino a Sodoma e Beccafumi. Giovanni di Paolo descrive luoghi di fascino, nei quali ambienta storie ricche di un suo gusto fantastico. Un’opera significativa che esprime questo suo talento è il Giudizio universale, databile verso il 1465, dipinto su un lungo pannello che era la predella di un’opera più ampia.


La sezione più curiosa del dipinto è quella di sinistra, dedicata ai beati. A esser curiosa è innanzitutto l’ambientazione. Il Paradiso è un parco botanico ricco di essenze, di erbe e di fiori multicolori, di candidi gigli, di campanule e orchidee pendule; a margine vi svetta un rigoglioso frutteto, con sei alberi carichi di frutti; addirittura tra i cespugli si acquattano e saltellano i leprotti. Più che un Paradiso celeste lo si direbbe un Paradiso terrestre, un giardino delle delizie, un locus amoenus, un hortus conclusus, un’isola dei beati, un campo elisio. In questo giardino, all’ombra del frutteto, i risorti arrivano nudi e sono accolti e rivestiti dagli angeli; i beati ritrovano poi i loro amici, i colleghi, i familiari in un clima di sorpresa e di letizia; la gioia si scioglie nei baci e nei teneri abbracci; si riprendono le fitte conversazioni un tempo interrotte all’ombra dei chiostri, lo scambio di confidenze, i dialoghi spirituali. Vediamo l’incontro tra i giovani e gli adulti, tra un fedele e un cardinale, tra due splendide fanciulle, quasi due modelle impegnate in un defilé di moda rinascimentale, tra due chierici con la cotta bianca, tra frati dello stesso cenobio e frati di diversi ordini religiosi. Esemplare icona di questo Paradiso degli affetti è il tenero abbraccio che suggella l’incontro nell’aldilà tra Agostino e sua madre Monica, ormai entrambi proclamati santi. Ma non possiamo dimenticare il particolare più tenero di questo Paradiso, ovvero la presenza dei bimbi. Li vediamo correre tra i fiori e giocare a nascondino tra le tonache dei frati e gli scranni degli apostoli. Sembra quasi che il pittore abbia voluto rompere i muri del Limbo dei bimbi, quel Limbo che vediamo ritratto al margine dell’Inferno e che l’arcigna escatologia medievale aveva costruito intorno ai neonati morti nel peccato originale prima che avessero potuto ricevere il battesimo. Il pittore sembra dunque voler aprire il Limbo, liberare i bimbi e introdurli nella letizia del Paradiso. Più che una visione beatifica di Dio, questo Paradiso è un’agape, il luogo della fraternità, dell’accoglienza, dell’amicizia ritrovata, della familiarità restaurata, della gioia degli affetti.

La sezione centrale del dipinto descrive la scena del Giudizio. Gesù giudice scende dall’empireo, attraversa i sette cieli riverberanti di luce solare, accolto da un coro di cherubini, e pronuncia la sentenza con il braccio levato. Gli fanno corona le personalità del tribunale celeste, i dodici apostoli seduti sui troni dei giudici popolari, gli avvocati difensori Maria e Giovanni Battista, gli angeli trombettieri che svegliano i morti, i profeti che prefigurarono gli eventi in corso. In basso è la scena della risurrezione dei morti. I risorti escono dai loro sepolcri e stazionano sul bordo degli avelli quadrati ancora storditi, quasi increduli di fronte agli eventi. Appreso il loro destino, hanno però bisogno dell’intervento degli angeli per raggiungere il loro luogo di destinazione. A sinistra gli angeli sollevano i risorti, li abbracciano e li introducono in Paradiso. A destra, con modi più spicci e brutali, l’arcangelo Michele minaccia i dannati con la spada sguainata e li spintona tra le braccia dei diavoli; un diavolo vola a bloccare un dannato che tentava la fuga.

La sezione di destra è dedicata all’Inferno, raffigurato come una montagna cava, ricca di anfratti e difesa in basso dalla doppia cinta delle mura della città di Dite. I diavoli ne presidiano l’ingresso invaso dalle fiamme. Appollaiato sulla porta un demonio mostra il cartiglio in cui era forse riportata l’epigrafe dantesca: Lasciate ogni speranza voi ch’entrate. I dannati vengono subito condotti davanti al giudice infernale Minosse che provvede a deciderne la destinazione. In alto è la caverna del Limbo, dove i bambini, nella loro innocenza, non subiscono sofferenze, ma vivono al buio, impossibilitati a vedere la gloria di Dio. Segue la caverna degli iracondi, dove i dannati continuano a manifestare la loro rabbia e, mordendosi le mani, compiono gesti di autolesionismo. Accanto è la caverna degli accidiosi: i diavoli provano a stimolarli in tutti i modi, pungendoli, infilzandoli, cavalcandoli, senza tuttavia riuscire a vincere la loro innata pigrizia. Le tre caverne centrali puniscono gli invidiosi, i superbi e gli avari: i primi subiscono la pena del caldo e del freddo e sono costretti ad attraversare le fiamme prima di finire nel lago gelato; i superbi sono umiliati dai diavoli, messi sotto i piedi e trasformati in irridenti poltrone; gli avari sono legati con i lacci che stringono le loro scarselle piene di monete. Le caverne in basso ospitano i lussuriosi (oscenamente palpeggiati e dileggiati) e i golosi (costretti al supplizio di Tantalo di fronte a una tavola imbandita, o costretti a ingoiare bocconi schifosi). Nell’angolo estremo in basso sono raffigurati il supplizio di Sisifo (che spinge in alto un masso che un diavolo ributta giù) e il supplizio di Prometeo incatenato (cui un’aquila divora il fegato).

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