Itinerario in Puglia

Soleto. Il Giudizio universale di Santo Stefano

Le tappe dell’itinerario

Soleto è il paese più interessante della Grecìa Salentina, una enclave linguistica situata  a sud di Lecce nel cuore del Salento, dove si parla il griko, un dialetto ellenofono ereditato dalla Magna Grecia. Fondato dai Messapi e poi popolato dai coloni greci, Soleto deve molto agli Orsini del Balzo, sotto i quali divenne contea. La passeggiata nel centro storico, aperta dal varco della Porta di San Vito, fa incontrare i palazzi delle famiglie notabili e la guglia di Raimondello, il magnifico campanile della cattedrale. Ma il capolavoro di Soleto sono gli affreschi che rivestono interamente le pareti della chiesetta dedicata a Santo Stefano, il primo martire. Sulla controfacciata c’è una visione quattrocentesca del Giudizio universale, nutrita d’immagini bizantine e scritte in greco.

L’immagine del Giudice è stata dipinta – un po’ per necessità e un po’ per virtù - sul risvolto dell’occhio del rosone che dà luce alla cappella; si ha così la sensazione del ritorno parusiaco di Gesù dall’alto dei cieli e della sua apparizione ai fedeli in una “mandorla” non simbolica ma assolutamente realistica. Le sue braccia levate e lo strappo della tunica mostrano ai risorti le piaghe della passione. Lo affiancano, nel tradizionale ruolo di moderatori dell’ira e intercessori, la madre Maria e Giovanni il Battista. Ai fianchi del Giudice siedono i dodici Apostoli mentre al centro sono visibili i progenitori Adamo ed Eva, inginocchiati davanti all’altare con la Croce e gli altri strumenti della Passione (la colonna con la corda e le verghe della flagellazione, i chiodi, la canna con la spugna imbevuta nel secchio dell’aceto).

La scena della risurrezione dei morti è tra le più interessanti. A risvegliare i morti dall’eterno riposo è il suono potente delle trombe che chiamano al giudizio. Due angeli, con le ali serrate, vestiti di bianco e d’arancio, si lanciano verso la terra suonando le lunghe tubae. Coerentemente con la vicina ostensione della croce e dei segni della passione, le trombe sono adorne dai vexilla regis, citando l’antico inno latino: «vexilla regis prodeunt; fulget Crucis mysterium». Il primo effetto del suono della tromba è la risurrezione dei morti sulla terra, divorati dalle bestie feroci: la terra è personificata da una regina con mantello scettro e globo che cavalca un leone; dietro di lei un lupo restituisce un braccio umano, un grosso serpente rigurgita una testa e un drago alato vomita una gamba e un piede. Il secondo effetto del suono della tromba è la risurrezione dei morti in mare, annegati e ingoiati dagli squali: il mare è simboleggiato da una regina nuda, a cavallo di un enorme pesce, seguita da squali marini che che vomitano resti umani. Il terzo effetto del suono delle trombe è la risurrezione dei morti inumati: la scena è dipinta più in basso e vede un sarcofago bianco scoperchiato dal quale si sollevano e fuoriescono gli scheletri dei risorgenti, a bocca aperta per la sorpresa e con le orbite rivolte verso l’apparizione del giudice.

Il giudizio individuale è affidato all’arcangelo Michele, il capo delle milizie celesti rivestito di una splendida armatura. Michele pesa le anime sulla bilancia a due piatti: il salvato è portato in cielo dagli angeli, mentre un diavoletto afferra o kleptos, il ladro condannato all’inferno.

Il Paradiso non costituisce una scena unitaria ma l’associazione di tre diverse immagini. La prima immagine è quella dell’empireo, del Paradiso celeste collocato su una nuvola affollata di beati in adorazione del Cristo parusiaco; è un paradiso rigidamente maschile, gerarchico e riservato ai clerici; si riconoscono un papa col triregno, due porporati, vescovi di rito latino e di rito greco, religiosi. La seconda immagine è quella del Paradiso terrestre, raffigurato come un giardino ricco di alberi frondosi, recintato da una torre e da mura merlate; secondo la Genesi biblica il giardino è chiuso e la sua porta è vigilata da un cherubino armato di spada fiammeggiante, dopo la cacciata dei nostri progenitori a causa del loro peccato originale; ma ora, con il ritorno di Cristo, si ristabilisce l’antica alleanza; San Pietro, cui Gesù ha dato le chiavi del regno dei cieli, sale la scala santa, riapre il portone del paradiso chiuso da un catenaccio e vi introduce Disma, il buon ladrone morto in croce sul Golgota, cui Gesù ha promesso la gioia del paradiso. La terza immagine paradisiaca è quella del seno dei Patriarchi: la fonte di questa immagine è la stessa parola di Gesù; il vangelo lucano racconta la parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone e riferisce che alla sua morte Lazzaro «fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo»; nell’affresco di Soleto vediamo il padre Abramo con Lazzaro incoronato di fiori tra le braccia, affiancato dagli altri due patriarchi Isacco e Giacobbe, anch’essi con animulae di beati in grembo.

L’Inferno è un assemblaggio di scenette che preludono alla visione di Lucifero nel fondo dell’abisso. La prima scenetta, molto gustosa, illustra il vizio dell’accidia: una coppia che indugia a letto sotto le coperte viene rudemente svegliata da un demonietto che ha in mano un ventaglio e che ricorda loro che alla domenica si osserva il precetto di andare a Messa e non si resta a dormire. La scena prosegue con una cavalcata demoniaca: sei grotteschi diavoli corrono verso la caverna infernale portando sulle spalle altrettanti peccatori, ben riconoscibili dalle scritte dei cartigli e dagli oggetti che caratterizzano la loro professione. Il primo è un cuoiaio; lo segue un oste con la brocca del vino adulterato; chiude il gruppo un giudice corrotto. Altri peccatori sono già caduti in mano ai diavoli: abbandonati gli strumenti di lavoro (le forbici del sarto, la zappa del contadino, il martello e l’incudine del fabbro, l’ascia del falegname, il piccone del tagliapietre), sono spinti dai loro infernali aguzzini nelle caverne fiammeggianti. In una caldaia bollente giace il ricco Epulone che si rivolge al Padre Abramo e chiede un goccio d’acqua refrigerante indicando la lingua riarsa. Un angelo di color rosso cupo, dall’espressione schifata, evita perfino di toccare con le mani gli eretici Ario, Nestorio e Sabellio e si accanisce contro di loro con un forcone spingendoli nel fondo dell’inferno. E infine ecco Lucifero, in rilievo, che replica in modo speculare la postura di Abramo e coccola l’Anticristo cullandolo in grembo. Le tre facce o le tre fauci del Cerbero infernale sono rese da gigantesche teste canine che deglutiscono i peccatori.

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