Itinerario nella provincia di Cuneo

Celle di Macra. La Cappella di San Sebastiano

Le tappe dell’itinerario

Celle di Macra è un comune sparso sulla destra orografica della stretta val Maira. Il locale museo ricorda i mestieri “itineranti” (come gli acciugai) dei suoi abitanti di un tempo. La Cappella di San Sebastiano si trova in posizione isolata lungo la mulattiera che dal capoluogo Chiesa porta alla borgata Chiotto.
La semplicità architettonica di questa cappella di montagna contrasta singolarmente con la ricchezza della decorazione iconografica che ricopre le pareti. Gli affreschi del 1484 sono di Giovanni Baleison di Demonte, un artista del tempo, anche lui “itinerante”. Nell'abside si osserva il martirio di Sebastiano, santo di dedicazione della cappella, affiancato da San Fabiano Papa e da San Rocco, protettori dalla peste. Ma il ciclo pittorico dominante è quello del Giudizio universale e dei Regni dell’aldilà. Il centro della composizione è il Dio giudice che occupa la calotta absidale. Non è il Cristo ma l’anziano Dio padre, calvo e con una lunga barba, che appare nella sfolgorante mandorla iridescente sostenuta dagli angeli e siede benedicente sull’arcobaleno della nuova alleanza, con il globo crociato in mano, simbolo della sua signoria sul mondo. Il giudizio finale è affidato all’arcangelo San Michele che pesa le anime e ne decide il destino di salvezza o di dannazione. La scena seguente, sul piedritto di destra, è quella del diavolo che riempie di malvagi la sua gerla da fieno, se la carica sulle spalle e va a svuotarla nella sottostante bocca dell’inferno.


L’Inferno

La visione dell’Inferno si sviluppa sulla parete di destra: si apre con la bocca del Leviatano e si chiude, sul fondo, con Lucifero. Nel mezzo, strutturato in compartimenti, è descritto il settenario dei vizi capitali, delle rispettive punizioni e dei diavoli sovrintendenti.

Il primo spazio è dedicato al peccato capitale della Superbia. Il diavolo custode sventola il vessillo della "superbia et voracitas". Una fornace alimentata dal fuoco di legna cuoce "superbi et partisani et heretici". I copricapi individuano un papa, un vescovo, un re, un soldato e i seguaci di fazioni in lotta. Per maggiore chiarezza un diavolo afferra due rissosi contendenti, partigiani del logo imperiale e del giglio di Francia e li fa cozzare tra loro, testa contro testa.

Il secondo spazio è dedicato al peccato capitale dell’Avarizia. Un diavolo dal nome inequivocabile di Mammona sventola il vessillo di "avaricia et cupiditas". Un avido ecclesiastico in mutande, impalato su un lungo spiedo girato da un diavolo, si rosola lentamente sul fuoco. Un cupido accumulatore di sostanze è costretto forzosamente a ingurgitare immonde sostanze che un diavolo, svuotando un sacco, gli riversa in bocca. Un gruppo di avari brucia su una pira ardente sotto una cappa che ne raccoglie i fumi.

Il terzo spazio è destinato al vizio capitale della Lussuria. Il diavolo Asmodeo sventola il vessillo della "lusuria et corucio". Un gruppo di lussuriosi (tra i quali si riconoscono un vescovo con la mitria e un religioso tonsurato) è punito con la pena della fornace ardente, alimentata da due fornelli. Gli ardenti bollori di una meretrice e di una coppia di adulteri sono esaltati dalla pena della graticola, sotto la quale un demonietto alimenta il fuoco con un mantice a soffietto. Una bionda ruffiana è cavalcata da un diavolo che la tira per i capelli e la punge con un chiodo.

Il quarto spazio è dedicato al peccato capitale dell’Invidia. Il diavolo Belzebù sventola il vessillo di "invidia et malignitas". Abituati a ferire l’onorabilità degli altri ora gli invidiosi sono costretti a subire impotenti le ferite arrecate dal morso di ripugnanti draghi alati. Ad un altro gruppo viene replicata al pena del rogo.

Il quinto spazio è destinato al peccato capitale della Gola. Il diavolo Belfagor sventola il vessillo di "gula et voracitas". Un vescovo gaudente si ritrova con uno spiedo infilzato in gola e un pollo arrosto sotto il naso. Un beone è costretto a trangugiare senza sosta il vino che un diavolo gli versa in gola da una botticella. Un gruppo di uomini e donne è sottoposto al supplizio di Tantalo: seduti a una tavola imbandita con pani e bevande sono impediti di avventarsi sul cibo.

Il sesto spazio è dedicato al vizio capitale dell’Ira. Il diavolo Balberit sventola il vessillo di "ira odio et invidia". Sei dannati, rappresentanti delle diverse categorie del male rivolto contro gli altri e contro se stessi, sono infilzati ai lunghi rami appuntiti di un albero secco, l’arbor mali.

Il settimo spazio è dedicato al peccato capitale dell’Accidia. Il diavolo Asteroth sventola il vessillo di "pigricia et ociositas". La punizione per “pigri et ociosi” è l’immersione paralizzante in una vasca di acqua gelida e il morso di lunghi serpenti acquatici che ne avvolgono i corpi nelle loro spire.

Il viaggio tra i cubicula delle pene infernali si conclude al cospetto di “Lucifer”, il sovrano del male. Lucifero divora i corpi dei grandi traditori e ha in braccio il più famoso tra loro: “Iudas”.


La parete opposta, quella di sinistra, è dedicata all visione del Paradiso e dei regni intermedi, il Limbo e il Purgatorio. È rilevante la scelta dell’artista di collocare i regni intermedi ai due margini del Paradiso. Evitando di caratterizzarli come lembi dell’Inferno ha voluto sottolineare che le anime che li popolano, pur in un contesto di sofferenza, hanno la speranza di vedere comunque il Cielo.


Il Purgatorio è raffigurato come un lago fiammeggiante. I purganti, che stanno espiando la pena connessa alle proprie colpe, sono avvolti dalle fiamme. Tuttavia essi ne emergono progressivamente, mano a mano che il momento della completa purificazione si avvicina. Alcuni sono immersi nelle fiamme fino al collo; altri hanno già le spalle o il torace o i fianchi liberi. Gli angeli si aggirano tra i purganti portando i simboli delle preghiere e delle Messe di suffragio offerte dai vivi per i fedeli defunti.


Il Limbo è raffigurato come una prigione, una grande caverna chiusa da una grata a forma di serranda. All’interno sono ammassati coloro che sono morti senza ricevere il Battesimo o i giusti che sono vissuti prima della venuta di Gesù. Non vi sono tracce di sofferenza o di punizioni. Semplicemente i reclusi mostrano nel volto tutta la tristezza di non poter godere della visione di Dio, la privazione della beatitudine. Sarà Gesù, nell’intervallo tra la sua morte e la sua risurrezione a scendere nel Limbo, a scardinare le sue porte e a liberare le anime dei giusti.


Il Paradiso ha la forma urbana della Città Celeste cinta da mura merlate. La porta di accesso si trova al culmine di una scala e alla base di una torre. Sulla scalinata che conduce al Paradiso San Pietro accoglie con le chiavi in mano le anime dei beati. All’interno della Gerusalemme celeste i santi e le sante sono raccolti in preghiera in quattro file sovrapposte e contrapposte, sotto la sovrastante immagine del Cristo in gloria tra gli angeli e gli intercessori. Alcune figure sono riconoscibili dagli attributi: Santo Stefano, il protomartire, con una pietra che gli sfonda il cranio; i rappresentanti delle grandi famiglie religiose dei francescani, dei benedettini e dei domenicani; Caterina d’Alessandria con la corona sul capo.


Alla base delle mura della Città celeste sono schierate le Virtù, declinate da donne colte in diversi atteggiamenti virtuosi. Purtroppo le immagini sono fortemente erose se non addirittura scomparse. La più riconoscibile è la figura centrale che incarna la “Fraternitas” (opposta al vizio dell’ira e dell’odio), una mamma in abito viola che non esita ad accogliere tra le sue braccia un secondo infante in fasce accanto al proprio. Al suo fianco può riconoscersi la “Temperantia” (opposta al vizio della Gola), impegnata a stemperare con l’acqua la forza alcolica del vino. Si può immaginare che le virtù successive siano la Castità (che indossa l’abito bianco della purezza e si contrappone al vizio della Lussuria) e la Laboriosità (impegnata nelle faccende domestiche e contrapposta all’Accidia). Con un ulteriore sforzo di immaginazione si può ipotizzare la presenza delle virtù dell’Umiltà, della Carità e della Generosità (contrapposte rispettivamente alla Superbia, all’Avarizia e all’Invidia).

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