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La transumanza nel Lazio

La transumanza nel Lazio ha tre volti. Il primo è quello della transumanza “lunga”, che lega gli altipiani abruzzesi e le catene montuose di confine alle pianure laziali: i pastori la percorrono due volte l’anno per salire in montagna d’estate e scendere al piano in inverno; è simile agli spostamenti stagionali sui grandi tratturi di Abruzzo, Molise e Puglia, ma se ne differenzia per la durata più breve (8-10 giorni di cammino) e per la direzione est-ovest.

Il secondo volto è quello tipico della monticazione: è una transumanza “breve”, giornaliera, tipica della bella stagione, quando gli armenti lasciano gli stazzi dei paesi di fondovalle e salgono verso il fresco e i pascoli delle montagne di casa; talvolta le greggi trascorrono le notti negli stazzi d’altura custoditi dai cani, mentre i pastori-agricoltori fanno i pendolari tra il monte e il piano.

Il terzo volto è quella della monticazione in senso inverso: nella stagione invernale i pascoli in quota (i monti dell’Anti-appennino laziale raggiungono altitudini modeste e sono raramente innevati) offrono nutrimento e pozze d’acqua agli animali; d’estate, invece, a causa della natura calcarea dei monti, della mancanza d’acqua e dell’essiccazione del pascolo, le greggi sono costrette a scendere verso i campi e i fontanili di pianura.


I pastori che scendono nelle pianure laziali sono lavoratori multitask. Sono innanzitutto allevatori: costruiscono recinti, ripari e stazzi e portano al pascolo pecore, capre, vacche, cavalli e maiali; senza dimenticare i pollai e le gabbie per gli animali da cortile. Esercitano l’antico jus pascendi et faciendi tugurium. Sono poi casari specializzati nella lavorazione del latte e nella produzione di formaggi freschi e stagionati. Ma sono anche agricoltori, che spietrano i piccoli campi, arano, concimano, piantano graminacee, seguono l’orto, curano la vite e l’olivo. Sono poi artigiani, suddivisi per categorie di mestieri, spesso specializzati in base al paese di provenienza: v’è chi lavora la pietra, chi intaglia il legno, chi intreccia stramma e vimini, chi batte i metalli, chi fila lana, chi taglia e cuce abiti da lavoro, chi raccoglie erbe e produce farmaci della medicina popolare.


Gli insediamenti pastorali del Lazio sono molto diversi da quelli tipici della montagna abruzzese (le capanne a tholos interamente realizzate in pietra a secco) e dalle grandi masserie della Capitanata e della Murgia pugliese.

Il primo modello è quello della capanna pontina (lestra), tipica delle piane paludose prima della bonifica ma diffusa anche nella campagna e nel litorale romani. I villaggi delle lestre di palude ospitano capanne molto primitive, costruite con legna e paglia. La loro forma richiama i tucul africani. Hanno la base solitamente di tipo circolare e il tetto a forma di cono molto accentuato. La struttura di sostegno è fatta di assi di legno. Il rivestimento è fatto di stramma, un’erba impermeabile o di fasci di canne palustri impastate di creta.

Il secondo modello è quello della capanna lepina e della mandra aurunca. Più in quota e quindi esposta alle intemperie, essa deve essere più resistente delle lestre, ben protette dalla fitta foresta, Sui Lepini, sugli Musoni e sugli Aurunci le capanne hanno la base in pietra e la copertura in paglia. Il muro perimetrale è costruito a secco, senza leganti, con grandi pietre non squadrate e con uno spessore notevole; l’apertura dell’ingresso è coperto da un’architrave di legno. La copertura ha la tipica struttura conica vegetale, armata da un’imponente intelaiatura di rami con uno spesso rivestimento di paglia di montagna.

I modelli di base possono poi “complicarsi” in relazioni alle funzioni dell’insediamento pastorale. Piuttosto diffusa è la combinazione tra una capanna circolare e una seconda capanna ellittica o rettangolare: la prima è di solito la residenza temporanea del pastore-agricoltore; la seconda è il ricovero degli animali allevati. Possono poi aggiungersi altre casette destinate agli attrezzi agricoli, alla caseificazione o alla conservazione del fieno.


L’escursionista curioso che voglia percorrere gli antichi tratturi della transumanza laziale e scoprire  le tracce degli insediamenti pastorali ormai abbandonati gioca una caccia al tesoro complicata. Le guide escursionistiche classiche propongono com’è giusto la salita alle vette e invitano a percorrere sentieri naturalisticamente remunerativi e si limitano tutt’al più a fornire qualche indizio o qualche suggerimento indiretto. Un aiuto decisamente più importante arriva dagli antropologi, dai demologi, dagli storici locali, dagli archeologi medievalisti, dai sociologi del territorio e dalle loro ricerche sul campo. Ma in ogni caso per vedere questi insediamenti occorre raggiungere posti remoti, seguire percorsi spesso non segnati sulle carte, chiedere aiuto e informazioni alla gente del posto. Un primo suggerimento è quello di scoprire i monti Ausoni, traversati da una classica via di transumanza. Si può risalire la Valle di San Vito da Monte San Biagio sulla Piana di Fondi verso la cresta degli Ausoni alla ricerca dei numerosi pagliari, le capanne pastorali con la base in pietra a secco e la copertura vegetale e le antiche cisterne di pietra per la raccolta dell’acqua piovana destinate all’abbeverata. Altri villaggi pastorali semi-abbandonati, ma ancora in grado di raccontare il modo di vivere di un tempo, sopravvivono nei dintorni del monumento naturale di Campo Soriano, un territorio con presenza diffusa di abitazioni rurali, recinti e cisterne: una strada conduce, ad esempio, al povero borgo delle Francolane (o di Franquillara, come preferiscono chiamarlo i locali),  dove il pagliaro serve da casa e convive con il pozzo, con il forno, con lo stazzo e con l’aia di pietra per battere il grano. E ancora più lontano si scopre il piccolo villaggio del Posto del Corgnale, tra i monti Calvo e Calvilli, incastonato tra i cippi dell’antico confine tra il papa e il re. Un secondo suggerimento riguarda i monti Aurunci, dove le “mandre” di pietra e paglia sono ancora visibili in tutti i pianori d’altura. Una citazione meritano comunque il pianoro di Guado del Faggeto e il Campo di Venza sui monti di Esperia. Altri suggerimenti riguardano i monti Lepini, dove le capanne pastorali, i recinti di pietra, le casette, gli ovili, segnano i tratturi che salgono da Gorga e Morolo verso le radure e i rari fontanili in quota. E si potrebbe continuare a lungo sulla Laga, sui Simbruini, sui monti della Sabina…


Qui trovate però quattro suggerimenti molto meno complicati. Si tratta di quattro facili passeggiate che ripercorrono i passi dei pastori transumanti che scendevano dalle terre alte e dai pascoli della montagna abruzzese diretti alla Campagna romana e alle pianure della Ciociaria e del Pontino. Passeggiate che che portano nel parco nazionale del Circeo, nella valle della Caffarella e in un eco-museo a Carpineto Romano sui Lepini, dove pastori, allevatori e agricoltori costruivano i loro villaggi temporanei, le capanne di pietra, i pagliari d’erba e legno, gli stazzi nelle radure delle foreste costiere, nelle fresche vallette, sulle alture più ricche d’erba.

Sono passeggiate della memoria. Quei vecchi insediamenti sono infatti ormai scomparsi, triturati dall’aratro della storia che ha asfaltato i tratturi, ha portato la bonifica tra le antiche paludi e i comfort dell’edilizia moderna nei tradizionali insediamenti rurali. I materiali poveri della pietra, del legno e dell’erba non hanno resistito all’emigrazione, all’urbanesimo, all’abbandono, all’incuria, al vandalismo, all’assenza di manutenzione.

Sono passeggiate facili perché conducono in pochi passi a villaggi agro-pastorali fedelmente ricostruiti nei parchi naturali. Piccoli eco-musei che vogliono trasmettere alle generazioni di oggi la storia e le immani fatiche degli avi e che vogliono insegnare le forme della vita di un tempo valorizzando i  frutti della ricerca dei demo-etno-antropologi.

Itinerario

Passeggiate sui tratturi

Alla scoperta delle storiche vie della transumanza

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