Un itinerario nella “terra bruciata” ai piedi della Maiella

I paesi distrutti

Una panoramica escursione in auto, costellata di soste e di brevi passeggiate in luoghi di alto valore storico e ambientale, sullo sfondo della Maiella. Tra i fiumi Sangro e Aventino andiamo alla ricerca delle rovine dei paesi distrutti dai tedeschi nella spietata logica della “terra bruciata”. Alcune testimonianze raccontano la vita dei paesi situati sulla linea Gustav. Un itinerario per fare memoria di eccidi e distruzioni, ma anche per capire le conseguenze sociali della guerra e le diverse forme della “resistenza” popolare all’occupazione.

Il quadro ambientale


Allo sbocco dei valloni del versante orientale della Maiella, al di là del solco dell’Aventino, c’è un vasto sistema di colli, punteggiato di paesi tra i meno noti e visitati d’Abruzzo. Il fiume Aventino, principale affluente del Sangro, nasce alle pendici del Monte Porrara, dalla confluenza del torrente Cotaio con le sorgenti di Capo di Fiume, alimentate a loro volta, tramite un condotto carsico, dalle acque del Quarto Santa Chiara. L’Aventino scorre tortuoso nella lunga e stretta valle omonima e, prima di immettersi, a monte di Casoli, nel lago artificiale di S. Angelo, creato alla fine degli anni Cinquanta, riceve il contributo di diversi corsi d'acqua minori, tra i quali le Sorgenti Acque Vive a monte dell'abitato di Taranta Peligna, e il torrente Vallone Cupo a valle del centro abitato di Lama dei Peligni. Uscito dal lago, il fiume Aventino riceve ulteriori apporti dai fiumi Verde e Avello e confluisce nelle acque del fiume Sangro. Un tempo la valle del Sangro-Aventino veniva definita la “valle della morte”. Strade faticose e tortuose raggiungevano paesi piccoli, economicamente depressi, spopolati dall’emigrazione, tormentati dalle frane e dai terremoti. Era considerato un territorio certamente poco attraente. Oggi la situazione sta cambiando radicalmente. La superstrada, le aree industriali, i finanziamenti europei, il parco nazionale della Majella, la valorizzazione del patrimonio archeologico e monumentale, le riserve naturali, la promozione turistica, i patti territoriali di sviluppo stanno rendendo l’Abruzzo interno un caso esemplare di rivitalizzazione di un territorio depresso.


Gli eventi bellici


La Maiella è l’esempio più classico di barriera “naturale” incorporata nella linea di difesa Gustav. I tedeschi sbarrarono il medio corso del Sangro e l’alta valle dell’Aventino per proteggere le vie interne di comunicazione attraverso gli altipiani, la conca del Fucino e la valle peligna. Il fronte scendeva così dalle creste delle Mainarde a Castel di Sangro, seguiva il ciglione settentrionale del Sangro, usava l’area dei colli tra Sangro e Aventino come cuscinetto di assorbimento, e sboccava poi in pianura seguendo il corso del Sangro. L'intera fascia dei centri abitati collocati su quella linea fu sottoposta a distruzione preventiva da parte delle truppe tedesche nel novembre e dicembre del '43. La popolazione sfollata si rifugiò nelle masserie sulle montagne o preferì attraversare le linee e trasferirsi in Puglia. Su questo tratto della Gustav le operazioni militari furono sempre modeste, condizionate anche dall’inverno e dalla neve. Esse erano affidate prevalentemente all’artiglieria, ai bombardamenti aerei e al pattugliamento. Le condizioni di vita erano particolarmente afflittive per i civili restati in zona, a causa dei rastrellamenti di uomini per i lavori bellici, della requisizione di bestiame e di beni per il vettovagliamento delle truppe d’occupazione, della vita in abitazioni di fortuna e della pessima igiene. Non a caso nacquero in questa zona le prime bande di resistenza armata, la più famosa tra le quali fu la Brigata Maiella.


L’occupazione tedesca

A Gessopalena furono affissi manifesti di reclutamento  obbligatorio di tutti gli uomini validi di ogni età. Vi fu  un"fuggi-fuggi" e la massa si riversò dove eravamo noi  nascosti, nella boscaglia della contrada Pastini. Il vallone sottostante (Rio  Secco) era la zona del nostro nascondimento mentre il nostro dormitorio  era la piccola scuola rurale di Pastini. Iniziammo cosi la nostra vita  di rifugiati clandestini, che doveva durare un paio di mesi, rifocillati  dai contadini che ci aiutavano in tutti i modi. Ora non eravamo gli  unici a nasconderci. A metà ottobre i tedeschi fecero una retata nella  piazza del paese, cosi come a Casoli e nelle zone vicine, e molti uomini  di mezza età scapparono verso Pastini e Rio Secco. Ormai eravamo una  squadra numerosa, e questo ci confortava un poco. Mi ricordo 1’aiuto  straordinario che ricevemmo dalle donne di Pastini, che sono state  semplicemente meravigliose. Le donne di tutte le masserie (Mattoscio,  Turchi, Stella, ...) si organizzavano per prepararci il pranzo, spesso  fatto con le sagne, sagnarelle, gnocchi e sugo finto. Caricavano tutto sulle ceste, e ci raggiungevano nei luoghi dove ci nascondevamo  di giorno: grotte, boscaglia, pagliai. Una sera apprendemmo che gli alleati erano a Termoli.  Avvertivamo però anche le razzie dei tedeschi nelle case di Gesso e  nelle masserie. La pressione tedesca aumentava, e si faceva più feroce. Intanto si parlava di politica. Fra di noi non c’erano  fascisti o almeno chi si dichiarasse tale, però, in fondo, eravamo  tutti ignoranti di politica. Conoscevamo il fascismo e il comunismo, quest’ultimo per opposizione al primo. Avevamo un po’ sentore del liberalismo, più che altro per la massoneria. Eravamo stati tutti educati nelle scuole fasciste. In verità già allo scoppio del conflitto io non approvavo la guerra; ero presidente dell’azione cattolica, e quando le gerarchie fasciste toccarono il problema religioso contro 1’Azione Cattolica (1938), mi sentii antifascista, anche se in maniere un po’ confusa. Noi cattolici eravamo i più  "vuoti" sul piano politico, ma anche eravamo ben ferrati su  quello dottrinale. Parlavamo di Peguy, di Ozanam, di Gide, di Bloy...  Cominciarono a passare per quella zona prigionieri inglesi in fuga verso  Bari. Uno di loro mi chiese uno schizzo del castello di Roccascalegna  che avevo realizzato nei momenti di sosta. Il 4 dicembre ci fu la  distruzione del paese. Dal Rio Secco vedevamo le case del paese saltare  per aria, e arrivarono subito le folle di persone che avevano perso 1’abitazione.  Anche noi sfollati ci prodigammo per venire incontro a tutte quelle  persone che avevano perduto tutto, andammo su a dare una mano: c’erano  solo pianti e disperazione. Tiravamo fuori le cose che potevamo portare  in campagna: letti, materazzi, cuscini, coperte, stoviglie e mobili salvati alla bene meglio dai crolli.

(Testimonianza di Nicola Bellisario)


L’itinerario


La prima tappa è Gessopalena. Parcheggiata l’auto nella zona della Piazza Garibaldi, consultati gli opuscoli distribuiti dall’ufficio turistico o il pannello informativo, ci inoltriamo nel Borgo di gesso, antico insediamento rupestre medievale. Un buon restauro conservativo consente di visitare in sicurezza le rovine del paese lesionato dal terremoto del 1933 e poi distrutto dai tedeschi nel dicembre 1943. Il borgo è tutto scavato nel gesso, materiale affiorante naturalmente lungo la valle dell’Aventino e in particolare proprio a Gessopalena, tanto che il paese viene anche indicato come Preta Lucente. Percorriamo il crinale del colle lungo la Via Castello, tra gli edifici più rappresentativi, i palazzi signorili, le chiese, le botteghe, le scuderie. Alla via principale si collegano percorsi secondari nel caratteristico sistema a pettine. Sono ancora riconoscibili i palazzi Persiani, Alfieri e Pellicciotti, la chiesa della Madonna del Rosario con i resti del campanile e la chiesa di Santa Annunziata dov’è visibile il pavimento in roccia di gesso. Una scalinata sale verso l’ingresso dell’abbazia di sant’Egidio con un timpano triangolare. Caratteristica è la “rue dei piccioni”, un vicolo scolpito nella roccia tra i palazzi gentilizi. Si riconoscono i forni del pane, le vecchie fornaci per la cottura del gesso, il trappeto a trabocco, il torchio vinario, le stalle e le scuderie. Alcuni edifici ricostruiti ospitano il Museo del gesso, la Fondazione della Brigata Maiella e associazioni locali. Al termine del percorso c’è l’area monumentale sistemata ad anfiteatro sullo sfondo di un incomparabile panorama che spazia dalla Maiella al lago di Casoli fino al mare Adriatico, e poi verso i monti Frentani, la Morgia e Torricella Peligna. Su una lapide si legge: “Il vento di queste valli, la neve di questi monti, il sole e le notti avvicendandosi tra i ruderi di queste deserte contrade, rinnovino nel ricordo il grido di vendetta allo scempio, alla distruzione, allo sterminio che il nazista oppressore e il tiranno fascista alleato imposero affinché ogni focolare fosse rovina, ogni casa pietra sconnessa e bruciata, ogni affetto, ogni umana speranza, paura, fame, deportazione e morte”.

La visita accurata del Borgo richiede circa un’ora.

Da Gessopalena ci dirigiamo ora verso Torricella Peligna. Lungo la strada, una deviazione ben segnalata sulla destra raggiunge in 2,5 km il luogo dell’eccidio di Sant’Agata, operato dai tedeschi nei confronti delle inermi popolazioni del luogo. La mattina del 21 gennaio 1944 i tedeschi rinchiusero un numeroso gruppo di famiglie gruppo in una masseria e li uccisero facendo esplodere numerose bombe a mano. Morirono 43 persone. Si salvarono una ragazza sedicenne, Nicoletta Di Luzio e il suo fratellino Antonio di 10 anni. Oggi, sul luogo dell’eccidio, accanto alle rovine delle masserie, un semplice monumento, una pietra su un basamento di marmo, ricorda i nomi dei morti.

La visita richiede pochi minuti.

La strada costeggia ora la caratteristica rupe della Morgia, attraversa Torricella e raggiunge Fallascoso. Una breve deviazione permette di visitare l’area archeologica di Iuvanum e Monte dell’Irco. Scavalcato il crinale dei Pizi alla Fonte della Noce, la strada scende ora verso l’Aventino di fronte a uno straordinario panorama sulla Maiella. Prima di Palena, un bivio sulla destra ci porta alla terza tappa dell’itinerario: Lettopalena, un antico borgo medievale dei possedimenti feudali di Antonio Caldora, dei Di Capua e dei d’Aquino. Già danneggiato dal terremoto del 1933, il borgo è stato completamente distrutto un decennio dopo dalle mine tedesche. L’attuale abitato è stato ricostruito su uno sperone lungo la sponda destra dell’Aventino, dalla parte opposta rispetto a quella del vecchio abitato. Parcheggiata l’auto nei pressi del cimitero, la visita può iniziare dalla bella e silenziosa abbazia benedettina di Santa Maria di Monteplanizio, che risale all’XI secolo. Si segue ora la strada che volge verso il fiume con un’ampia curva, tra vecchie masserie e fontanili. Giunti al ponte, un sentierino scende sulle rive dell’Aventino, ricco in questo tratto di pozze d’acqua, scivoli e cascatelle tra grandi massi. Sulla riva sinistra si scoprono in alto le rovine del paese distrutto. Alcuni edifici sono ancora individuabili; altri sono ormai invasi e nascosti dalla vegetazione. Una stradina porta alle rovine della vecchia chiesa che conserva tratti di parete, un oculo e la zona dell’altare.

La visita all’abbazia, alle rovine e la discesa al fiume richiedono circa 30-40 minuti.

Da Lettopalena si può seguire la vecchia strada che conduce, con una lunga serie di tornanti, alle “tagliate” della strada statale, poco a nord di Palena. Prendiamo la direzione di Lama dei Peligni e costeggiamo la base del Vallone di Taranta, dov’è la funivia che sale alla celebre Grotta del Cavallone. Immediatamente dopo la galleria, svoltiamo a destra per chiudere il nostro itinerario con la visita al Sacrario della Brigata Maiella. Il Sacrario è stato inserito in un’ansa della vecchia strada, a lato dell’attuale galleria. Un grande arco con catena introduce al viale alberato. Le rocce sulla destra recano incisi i nomi delle località che videro impegnati i partigiani della “Maiella”. Raggiunto il piazzale in fondo si può leggere su una lapide la motivazione della medaglia d’oro concessa alla Brigata e si può visualizzare su una mappa dell’Italia il percorso di guerra della Brigata, dall’alto Sangro fino ad Asiago. Una cappella in suggestiva posizione raccoglie i resti e ricorda i nomi dei patrioti caduti.

La visita richiede circa 15 minuti.


Dall’occupazione alla liberazione

I tedeschi rimasero stabili a Gesso tra fine ottobre e  il 30 novembre. Noi giovani tornavamo ogni tanto nelle nostre case, e  poi scappavamo di nuovo. In casa di mio nonno Nicola si erano stabiliti alcuni tedeschi comandati da un graduato; altri si erano sistemati in casa Oltremonti, a Via del Popolo, e nella casina Cassio, in fondo a Terranova, in Via Peligna, che allora limitava il centro abitato del paese. Il graduato tedesco in casa di mio nonno vide una mia foto e chiese dove fossi; mia madre rispose che studiavo a Bologna. Una sera tornai. Il camino era acceso. Trovai 1’Obermeister seduto in cucina sull’arcibanco. Mamma mi vide e impallidì. Io dissi  "buonasera". Il tedesco si rivolse a mamma e chiese, ironico:  "E' lui che sta studiando a Bologna?". Poi mi disse: "Non  dovete aver paura di noi, siamo soldati, stiamo facendo una guerra, che  a me non piace". La sua famiglia in Germania era di sentimenti  socialdemocratici. Poi aggiunse: "Attenti a quelli che verranno  dopo di noi. La situazione diventerà davvero difficile". Il 30  novembre uscirono da questa casa e si ritirarono verso Torricella. Alla  curva dello Zarrafino fecero saltare la strada. Il 3 dicembre una  pattuglia di tedeschi a piedi scese dalla Morgia, prese la mulattiera  verso la Cesa e risalì per San Rocco sotto il Palazzo Persiani. Presero  la direzione di Casoli, probabilmente per accertarsi dove stessero gli  inglesi. La mattina del 4 arrivò un camion. Si  fermò davanti al Municipio. Il tedesco parlava  anche un po’ in francese, e al podestà diede 1’ordine di far  sgomberare il paese entro due ore: avevano 1’ordine di far saltare le  case. La popolazione doveva avviarsi a piedi verso Sulmona, i malati e i  vecchi sarebbero stati trasportati sui loro camion. Erano una quindicina  di soldati; cercavano pentole da riempire di polvere da sparo. La  notizia si diffuse in un lampo per tutto il paese. Cominciarono a minare  le case del Paese Vecchio. Cercammo di arrabattare qualcosa di utile da portare via da casa. Quella stessa giornata una pattuglia alleata consistente arrivò da Casoli e si acquartierò nella casa in pietra di Donato Tiberini a Mandre di Sarra. La mattina del 6 dicembre i tedeschi tornarono da Torricella con una motocicletta, un side-car e un camion: volevano completare 1’opera. Gli inglesi salirono da Mandre di Sarre. Ci fu uno scontro sulla salita di Monte Calvario: morirono due tedeschi, che vennero seppelliti lì vicino. Gli inglesi si  stabilirono nel paese, e misero il loro Comando nella casina Cassio.  Nominarono quasi subito i Police, una specie di polizia municipale,  scelti tra alcuni uomini del paese, tra cui qualcuno ch’era stato in  America e parlava un po’ inglese. Nel frattempo la gente cercava di tornare nelle proprie case, anche in  quelle distrutte. C’erano fenomeni di sciacallaggio, spiegabili in  quella miseria. Ma le condizioni igieniche precarie facevano temere agli  inglesi epidemie diffuse, così nel giorno di Natale 1’Amgot convocò  nella chiesa di Santa Maria Maggiore la popolazione e ordinò 1’evacuazione  del paese. La gente reagì in maniera esasperata.

(Testimonianza di Nicola Santirocco)

Per approfondire

Le testimonianze riportate nel testo provengono dalla raccolta Voci dalla guerra. Gessopalena dal settembre ’43 alla strage di Sant’Agata, a cura di Gino Melchiorre. I testi sono anche disponibili in internet (www.ilsitodi.it/gessopalena/storia/testimonianze_guerra_43.htm). Una raccolta di testimonianze sulla guerra di civili dei paesi dell’alto chietino (Palena, Taranta Peligna, Gessopalena, Torricella Peligna, Palombaro, Fara San Martino) è stata pubblicata in volume (Max Franceschelli, La guerra in casa. La linea Gustav: Chieti e provincia, Chieti, 2006) e in un Dvd dallo stesso titolo curato da Anna Cavasinni e Fabrizio Franceschelli.


Un’ampia presentazione del territorio tra il Sangro e l’Aventino (ambiente, beni culturali, comuni, piani di sviluppo economico, economia sociale, formazione, ecc.) è offerta dall’ottimo sito web del locale patto territoriale (www.sangroaventino.it), che funziona anche da portale alla rete delle istituzioni territoriali.


La storia dei patrioti della “Maiella” è raccontata nel libro Brigata Maiella (Medaglia d’Oro al V.M.), scritto da Nicola Troilo, figlio del comandante della Brigata. Più recentemente Marco Patricelli ha raccontato la vicenda della Brigata partigiana Maiella nel volume I banditi della libertà. La straordinaria storia della Brigata Maiella, partigiani senza partito e soldati senza stellette (Utet, Torino, 2005). La Brigata si era costituita alla fine del 1943 come banda partigiana, aveva conquistato la fiducia degli inglesi e si era battuta al loro fianco. Dopo la liberazione dell’Abruzzo la banda decise di continuare a combattere nelle Marche e sulla linea Gotica (i «maiellini» furono i primi soldati a entrare a Bologna libera) e si sciolse nel maggio del 1945 ad Asiago.

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