Itinerario nella provincia di Pesaro e Urbino

Saltara. Il Giudizio ritrovato

Le tappe dell’itinerario


Saltara è un piccolo borgo della valle del Metauro, che sorge al margine di una zona industrializzata dell’entroterra di Fano. La sua identità medievale è testimoniata dai resti del castello e da un ricco patrimonio di chiese. Una di queste, l’antica chiesa della Confraternita del Crocifisso e del Gonfalone, caduta in un prolungato degrado, è stata recentemente rimessa in sicurezza e restaurata. Durante i lavori, sotto l’intonaco che copriva la parete di fondo, è riaffiorato un vasto affresco della fine del Quattrocento o dei primi del Cinquecento raffigurante il Giudizio universale.


La parte superiore del dipinto vede protagonista il Cristo che si apre un varco a forma di mandorla nel cielo sfolgorante di luce solare e viene a sedersi sulle nuvole. Ha un nimbo crociato sul capo ed esibisce ai risorgenti la ferita del costato e i fori dei chiodi sul palmo delle mani e sui piedi. Gli fanno corona i cori degli angeli: i cherubini e i serafini presidiano l’iride della nuova alleanza; angeli elegantemente vestiti mostrano gli strumenti della passione (la croce, la pietra della flagellazione, la canna, la spugna, la lancia); due angeli gonfiano le gote e soffiano nelle trombe per chiamare i morti alla risurrezione universale (il suono delle trombe è affiancato dai cartelli che invitano i morti a tornare in vita per affrontare il giudizio: «surgite mortui venite ad iudicium»). Le parti mancanti dell’affresco intorno al Cristo mostravano verosimilmente gli intercessori, Maria e il Battista, e gli apostoli.

Il giudizio individuale e la pronuncia della sentenza sono affidati all’arcangelo Michele. Lo vediamo al centro della scena, rivestito dell’armatura guerriera di capo delle milizie celesti, mentre pesa le anime dei risorti sulla bilancia a doppio piatto: i dannati, appesantiti dai loro peccati, cadono preda dei diavoli, mentre gli eletti s’inginocchiano nella preghiera di ringraziamento.

A sinistra vediamo il gruppo dei beati. Risorti dagli avelli tombali e appresa la sentenza di salvezza i buoni s’inginocchiano e congiungono le mani nella preghiera di ringraziamento. Vengono quindi accolti dagli angeli, teneramente abbracciati e condotti verso la porta che li introduce nella città celeste. In questo gruppo è particolarmente nutrita la presenza dei religiosi, con la tonsura sul capo e gli abiti delle diverse famiglie: la francescana, la dominicana, l’agostiniana. Un triregno e una corona dorata evidenziano la presenza delle supreme gerarchie, religiosa e civile. Splendidi sono i colori e le fatture degli abiti indossati dagli angeli, dal giovane nobile col mantello e dalla fanciulla velata. Tutt’altra scena è quella che vediamo a destra di Michele.  I risorti escono dalle tombe ancora nudi o avvolti nei sudari. Su di loro si avventano i diavoli per abbrancarli e caricarli sulle spalle. Una fanciulla è arpionata con un forcone. La coppia adultera è afferrata per i capelli, presa a calci e sottoposta alle grinfie di diavoli rabbiosi. Le teste coronate dei sovrani, il triregno di un papa e la mitria di un vescovo mostrano il destino dei superbi. Gli iracondi si mordono rabbiosamente le mani. Dominano stati d’animo di sgomento e raccapriccio. Ma il destino è inesorabile: i dannati sono avviati verso le pene infernali, il lago ghiacciato, le ganasce divoratrici di Lucifero e dei suoi brutali compagni.

Nella zona inferiore il pittore ha voluto dipingere una serie di quadretti che descrivono le pene (o, dovremmo dire meglio, le torture) cui sono soggetti i vizi capitali e i peccatori contro i dieci comandamenti. Una scritta in caratteri gotici spiega dove e come si puniscono i peccati mortali, eternamente all’inferno e temporaneamente in purgatorio. L’ira è punita con una sorta di garrota che seziona il corpo impotente del peccatore. L’invidia è collocata in un vulcano ribollente e aggredita da un drago. L’accidia è costretta dai diavoli a rimanere immobile su una griglia arroventata. L’avaro è costretto a trangugiare un mestolo di oro fuso in un crogiolo. La gola è costretta all’impotenza di fronte a una tavola riccamente imbandita di cibi e bevande. La lussuria è tormentata sugli organi genitali. Il bestemmiatore e il maldicente, che hanno peccato contro il comandamento “non nominare il nome di Dio invano” sono impiccati per la lingua. L’omicida, che ha peccato contro il comandamento “non uccidere”, è squartato come un maiale.

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