Itinerario nella provincia di Ancona

Fabriano. L’icona bizantina di Ambrogio Monaco

Le tappe dell’itinerario


La Pinacoteca comunale di Fabriano espone un’icona del Giudizio universale, qui arrivata da Venezia grazie a un dono che Andrea Venier fece nel 1678 a un nobile locale. Venezia era all’epoca un crocevia importante di scambi tra l’arte occidentale e la tradizione iconografica bizantina nelle sue diverse versioni balcaniche, greca e cretese. L’icona – una tempera su tavola – porta la firma di un certo monaco Ambrogio. Pur nelle sue piccole dimensioni l’icona colpisce per la sua ricchezza delle scene che illustrano il ritorno di Gesù sulla terra alla fine del mondo e il giudizio finale. Una vivacità e una ricchezza figurativa che sono peraltro tipiche dell’iconografia religiosa del mondo ortodosso. 


In alto è raffigurata la dinamica figura del Cristo parusiaco che scende sulle nuvole, avvolto in un mantello del colore rosso del martirio, con le piaghe della passione in evidenza (i fori dei chiodi sulle palme delle mani e sui piedi; la ferita della lancia sul costato). La mano destra è sollevata nel gesto della benedizione rivolto agli eletti; la mano sinistra sembra invece respingere i dannati dalla sua presenza. Ai suoi fianchi sono inginocchiati la madre Maria e Giovanni Battista che impersonano gli intercessori, gli avvocati difensori dell’umanità risorta. Appare anche l’etimasia con la croce e i simboli della passione sul trono. La scena è collocata nell’alto dei cieli, dove sono visibili gli astri, con il sole, la falce di luna e un gran numero di stelle. Per l’arrivo del Signore il cielo viene aperto: si crea un varco a forma di mandorla, dal quale irrompe la luce risplendente dell’empireo, mentre un alone sfolgorante accompagna l’apparizione del giudice e della croce. Intorno alla mandorla si affollano gli angeli: le alate creature celesti sono distinte nei diversi cori e si distinguono per la statura, la nudità, lo sfarzo degli abiti e il colore delle ali.

Il riverbero della luce dell’empireo si diffonde anche sui quattro evangelisti distesi ai piedi di Gesù e contraddistinti dai simboli del Tetramorfo (il bue di Luca, l’aquila di Giovanni, l’angelo di Matteo e il leone di Marco), come pure sugli apostoli seduti sui troni del tribunale celeste.


Il Paradiso è visto come un immenso teatro nel quale le diverse categorie di Beati occupano le poltrone loro riservate nella galleria e nella platea. Vediamo così a destra il gruppo dei Patriarchi biblici (tra questi è Noè con l’arca) e il gruppo dei Profeti (tra questi Daniele illustra il contenuto delle sue profezie dell’ultimo giorno). Uno spazio di particolare evidenza è assegnato al patriarca Abramo che accoglie tra le sue braccia l’anima del povero Lazzaro. Tra le nuvole fa anche capolino il gruppo dei santi Innocenti, ovvero i bambini sterminati da Erode. Sugli spalti siedono anche i re santi, i diaconi, i sacerdoti e i vescovi, i martiri, le vergini prudenti.


La risurrezione dei morti è articolata su tre diverse scene. Gli angeli tubicini planano dal cielo sulla terra soffiando nelle loro lunghe trombe così che i loro squilli risveglino l’umanità dal sonno della morte. La scena della risurrezione dei morti sepolti in terra è ambientata sui declivi della valle di Giosafat. Negli avelli tombali ritornano alla vita e si sollevano singoli, coppie e famigliole con figli. Il cherubino con la spada fiammeggiante indica la strada ai risorgenti. La terza scena è quella della risurrezione dei morti in mare: dai flutti riemergono i corpi di coloro che sono annegati in seguito al naufragio delle loro imbarcazioni (simboleggiate da una nave a tre alberi).


Al centro vediamo l’animata scena del giudizio individuale. Vi provvede l’arcangelo che regge la bilancia a doppio piatto. Un secondo arcangelo, con la spada sguainata tiene a distanza gli intraprendenti diavoli che cercano di condizionare il giudizio per accaparrarsi le anime. Un Michele in armi, arcangelo guerriero e capo delle milizie celesti, scatena l’attacco agli angeli ribelli trasformati in mostri demoniaci. Frotte di diavoletti portano pacchi di plichi in cui sono registrate le opere cattive compiute dai risorti. A seguito del giudizio avviene la separazione degli eletti dai dannati. I primi ascendono in volo verso il Paradiso dei beati. I secondi sono catturati dai diavoli e portati all’Inferno.


Un gruppo selezionato di beati, scortato da un angelo crucifero, si avvia verso il Paradiso terrestre, o - per dire meglio - verso la nuova Gerusalemme, la città di Dio scesa sulla terra. Il gruppo è preceduto da San Pietro che, con le chiavi consegnategli da Gesù, riapre le porte del regno dei cieli, quell’Eden che era stato chiuso e sigillato dopo il peccato originale e la cacciata di Adamo ed Eva. La descrizione della città di Dio è fedele all’immagine descritta nei capitoli finali dell’Apocalisse: una città quadrata, circondata da mura e da torri, con tre porte per lato, sorvegliata da dodici angeli. In essa non vi è un tempio perché essa è ormai il regno dell’Agnello e del Padre che invia il suo Spirito.


Seguendo la visione di Daniele l’Inferno è raffigurato come un fiume di fuoco che nasce ai piedi del Giudice e investe i dannati creando un lago infernale. Dalle fiamme emergono bestie immonde (un rospo, un aspide, uno scorpione), l’apocalittico drago dalle sette teste in lotta con gli angeli e la grande prostituta, la Babilonia infernale. La morte viene destinata allo stagno di fuoco. Dappertutto sono le stelle cadute sulla terra a seguito dell’apertura dei sette sigilli. I dannati sono condotti nella bocca del drago infernale, la gola del Leviatano biblico di Giobbe. I corpi dei dannati affiorano tra le fiamme. Nel più profondo dell’Inferno, dove il fuoco è al calor bianco, vediamo Lucifero che ha tra le mani il serpente tentatore responsabile del peccato originale.


Da ultimo un angelo solleva il globo e lo riporta a Cristo come segnale della fine del mondo e inizio dell’eternità.

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