Itinerario nella provincia di Lecco

Mandello del Lario. L’Aldilà di San Giorgio

Le tappe dell’itinerario

Saliamo lungo il Sentiero del Viandante da Abbadia Lariana in direzione di Mandello del Lario. Mentre traversiamo a mezza costa la splendida sponda orientale del Lario incrociamola la chiesetta romanica di San Giorgio. La sosta è d’obbligo. Ottenute le chiavi dalla famiglia di una casa vicina, entriamo in chiesa ad ammirarvi il ciclo di affreschi tardo quattrocenteschi che riveste l’arco del presbiterio e le due pareti laterali. Il tema unitario è il Giudizio universale, declinato nei quattro regni dell’aldilà e nelle condizioni per ottenere la salvezza eterna.


Il Giudizio è presieduto da Gesù. Lo vediamo seduto sull’arcobaleno della nuova alleanza, all’interno della mandorla iridata; ha il nimbo cruciforme sul capo e indossa un lungo mantello; il messaggio che trasmette è sintetizzato nelle cinque piaghe sanguinanti che mostra ai risorti; il suo messaggio è rafforzato dall’ostensione angelica degli altri strumenti della passione: la croce, i chiodi, la tenaglia, la lancia di Longino, la canna, la spugna, i flagelli, la colonna, il martello e la corona di spine. Quattro angeli tubicini suonano le trombe  del giudizio che svegliano i morti e li chiamano al giudizio (surgite mortui, venite ad iudicium). Se la presenza del giudice e degli angeli è ricorrente nell’iconografia del giudizio, molto rara è invece la raffigurazione del patriarca Enoc e del profeta Elia, che qui in San Giorgio sono collocati con grande evidenza ai lati del giudice. Nel racconto biblico Enoc ed Elia non sono morti ma sono stati trasportati vivi in cielo e posti a guardia del Paradiso terrestre. La visione della corte celeste è completata dai patriarchi biblici (raffigurati in basso), dai cori degli angeli (le sei terne a destra e a sinistra del giudice), e dai profeti (nel sottarco).


La descrizione dell’Inferno occupa la parete destra della chiesa e si sviluppa in cinque successivi fotogrammi: i vizi capitali, la porta dell’inferno, le punizioni dei dannati, Lucifero, l’albero del male. La scena dei sette vizi capitali è originale e divertente: ciascun vizio è personificato al maschile; la sfilata dei viziosi, ammanettati sul dorso e incatenati al collo, si arresta davanti a un diavolo in cattedra, una sorta di Minosse tenutario del registro delle pene; ciascun vizio (nell’ordine: avarizia, invidia, accidia, ira, gola, lussuria, superbia) è presentato e raccomandato da un diavolo tutor; i diavoli, cinocefali e ippocefali, hanno un aspetto più grottesco che mostruoso e i viziosi non ne sembrano affatto spaventati. Registrata la loro presenza negli archivi dei dannati e definita la loro destinazione, si passa alla scena successiva. Qui vediamo l’ingresso della caverna infernale vigilata da un altro grottesco diavolo. Si tratta di una reinterpretazione di Cerbero, il mitologico cane trifauce. Il demone ha infatti tre teste, ali da pterodattilo, corna ramificate da cervide, artigli da rapace e coda a serpente. Regge un cartiglio con una perifrasi del verso dantesco sull’eternità della pena, che ammonisce che chi in questo luogo entrerà mai non ne uscirà. La scena successiva descrive la punizione dei falsari: due diavoli afferrano un dannato nel mucchio, lo pongono sull’incudine e lo prendono a martellate; più sotto una coppia di falsari, tastandosi il bernoccolo sulla testa, si dirige verso il calderone infernale; qui la moltitudine di dannati viene lessata e subisce anche l’attacco dei serpenti. La quarta scena è dedicata a Lucifero, il gigantesco demonio che ha sul capo la corona di sovrano dell’Inferno. La figura è sbiadita ma si notano bene i dannati che vengono stritolati dalle sue mani e quelli che servizievoli diavoletti gli portano alla bocca per essere divorati; si nota una lontana eco del Lucifero dantesco. L’ultima scena è l’albero del male. Il supplizio fa rabbrividire. I corpi di uomini vivi e urlanti sono infilzati sui rami appuntiti di un grande albero spinoso, spoglio, scheletrico. Un supplizio tratto di peso dalla Visio Pauli, un’apocalisse apocrifa che descrive la visita di San Paolo all’Inferno e che ha offerto ampi spunti all’iconografia medievale dell’aldilà. San Paolo - in questa visione - giunge alle porte dell’Inferno e vede alberi fiammeggianti sui cui rami i peccatori sono appesi e tormentati: gli uni appesi per i piedi, gli altri per le mani, altri ancora per il collo, per la lingua o per le braccia. Anche qui sulle rive del Lario l’immenso albero rigurgita di dannati che hanno reso falsa testimonianza e che i diavoli puniscono infilzandone sui rami le parti del corpo che hanno peccato. I peccatori sono puntigliosamente individuati e descritti da cartigli. L’affresco dell’albero del male è una gustosissima rappresentazione della vita sociale del tempo, una grande rivalsa popolare affidata al transfert escatologico, una vendetta postuma contro tutti i potenti responsabili di prepotenze (i duchi, i signori, i baroni, i marchesi, i capitani), contro i professionisti ‘azzeccagarbugli’ (i medici, i notari), e, soprattutto, contro gli artigiani e i commercianti disonesti che hanno imbrogliato la povera gente (i mugnai, i pellicciai, i calzolai, i ricamatori, i barbieri, gli acconciatori, i tessitori, i fornai e i pescatori). Tuttavia l’origine dell’immagine dell’Arbor Mala è schiettamente evangelica e la fantasia del pittore ha solo sostituito i frutti cattivi con le figurine dei peccatori. La fonte è un insegnamento di Gesù registrato nel Vangelo di Matteo: Prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono. Prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. L'uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive. Ma io vi dico: di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato (Mt 12,33-37).


Gli affreschi della parete sinistra si articolano in sei diverse scene tematiche: la risurrezione dei morti, il limbo, il purgatorio, l’ascesa dei beati, la città celeste, le opere di misericordia. La risurrezione dei morti è descritta nella fascia più bassa. Reagendo agli squilli dei clacson angelici, sulla terra “si scopron le tombe, si levano i morti”. Dalle urne di marmo del cimitero planetario si sollevano ometti nudi che s’inginocchiano in preghiera, in attesa del giudizio che li riguarda. A sinistra del portoncino d’ingresso della chiesa sono descritti il Limbo e il Purgatorio. Il Limbo dei pargoli accoglie in una caverna i neonati morti prima di ricevere il Battesimo. Macchiati del peccato originale ma in uno stato d’innocenza, i piccoli, ancora infagottati in fasce e cuffiette, non soffrono ma guardano ad occhi spalancati il giudice, sperando nella misericordia di Dio. Il Purgatorio è un fossato fiammeggiante nel quale si purificano coloro che non furono né troppo buoni né troppo cattivi. Nella folla dei purganti fanno capolino le tonsure dei religiosi, le mitrie e le berrette di vescovi e cardinali. Pur soggetti alla sofferenza del fuoco, i purganti guardano fiduciosi verso il giudice e pregano perché termini presto il loro periodo di espiazione. Gli effetti delle preghiere si vedono nei corpi che si sollevano progressivamente dalle fiamme fino ad uscire dal cratere verso la liberazione.

La scena successiva vede i beati che, guidati dagli angeli, s’incolonnano in un corteo ascensionale verso il Paradiso. Alcuni beati indossano la ‘veste candida’ e la corona di fiori loro concessa dagli angeli; la maggioranza tuttavia si riveste con gli abiti terreni. Giunti alla porta del Paradiso sono accolti da San Pietro e da San Paolo: il primo ha le chiavi del regno dei cieli e il secondo ha la spada del suo martirio. Il Paradiso è una città difesa da torri e mura merlate: è la Gerusalemme celeste descritta nell’Apocalisse. Sui balconi e sugli spalti volteggiano gli angeli: hanno gli strumenti musicali e formano così l’orchestra celeste che intona inni e cantici spirituali. I beati si distribuiscono in tre lunghe file orizzontali. Solo alcuni portano attributi che ne consentono l’identificazione: nella fila in alto riconosciamo Giovanni Battista con l’abito eremitico, le gerarchie ecclesiali (il papa, il cardinale, il vescovo) e secolari (il re con la corona), il primo martire Stefano (con il capo sanguinante per la lapidazione). Nella fila mediana riconosciamo i santi fondatori di ordini religiosi (Domenico, Francesco, Benedetto) e San Pietro martire (con la testa spaccata da una daga). Nella fila in basso è il popolo di Dio: ai primi posti sono i pellegrini (col cappello a mezzaluna e la conchiglia); in coda sono le donne sante (una regina, una monaca, laiche e religiose). Il primo posto in Paradiso è tuttavia riservata alla Madre di Dio: Maria è a mani giunte, impegnata nella preghiera d’intercessione, ed è circondata dagli angeli.

Sul muro laterale prospiciente l’arco trionfale sono descritte in sette riquadri le opere di misericordia. L’associazione tra le opere di carità e il giudizio universale ha radici schiettamente evangeliche. Il Vangelo di Matteo riferisce queste parole di Gesù: Venite o benedetti del padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; sono stato forestiero e mi avete accolto; nudo e mi avete ricoperto; sono stato malato e mi avete visitato; sono stato in carcere e siete venuti a trovarmi (Mt 25,34-46). E qui in San Giorgio vediamo gli angeli che distribuiscono i pani, offrono bevande, preparano abiti e ne rivestono gli ignudi, assistono un malato a letto, accolgono in casa un pellegrino, incontrano un carcerato con i ceppi ai piedi e seppelliscono un morto. E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".

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