Itinerario nella provincia di Bologna

Bologna. Il Paradiso e l’Inferno di Bartolomeo Bolognini

Le tappe dell’itinerario

Bartolomeo Bolognini era un industriale tessile e un mercante di seta. La sua attività lo rese ricco e potente a Bologna. Ma sul declinare della sua vita (morì nel 1411) adottò qualche precauzione per meritarsi un futuro di agi anche nell’aldilà. Acquistò così una cappella nel duomo di San Petronio e nel testamento vincolò un fondo che servisse a decorarla in modo adeguato al suo rango. Volle sulla parete di destra la storia dei Magi (“historia trium magum”) e sulla parete sinistra il Paradiso (“gloria vitae aeternae”) sovrapposta all’Inferno (“pingi debeat penas infernales horribiles quantum plus potest”).


E cominciamo allora a osservare proprio le immagini delle pene infernali che Bolognini desiderava fossero rese con la maggiore atrocità possibile. Al centro compare “lo ‘mperator del doloroso regno”, la gigantesca figura di Lucifero. Ha le fattezze animalesche di un orso oscenamente seduto su uno sgabello di ferro, con gli arti avvinti da catene fissate sulle rocce. La sua bocca superiore ha iniziato a divorare un dannato e la bocca inferiore defeca tra le braccia di un diavolo un superbo dal ripugnante destino. Sotto le gambe si affolla la tribù terrorizzata e urlante dei superbi tra i quali abbondano le teste coronate dei sovrani, dei dignitari e dei condottieri. I diavoli provvedono a strangolare i più molesti. Nelle bolge in alto sono puniti i peccatori contro Dio e contro la Chiesa: gli scismatici, i sacrilegi, i bestemmiatori, gli idolatri e gli eretici. Vi compaiono Datan (che regge con la mano la sua testa decapitata) e Abiràm (morso dai serpenti) che allontanarono da Mosè il popolo di Dio e furono ingoiati dalle fiamme. I sacrilegi sono impalati sugli alberi ed eviscerati. La Phitonisa (la Pitonessa, ovvero la maga che Saul andò a consultare e che prediceva il futuro invasata da un demone chiamato Python) è morsa da un serpente. Simon Mago e una collega dal seno prominente sono strattonati e presi a bastonate; altri sono precipitati in un pozzo. Il re Minosse, emblema dei pagani adoratori degli idoli, è appeso a testa in giù. Gli eretici sono puniti per i loro erronei discorsi: Ario è appeso per la lingua e altri sono morsi sulla lingua dai serpenti. Due placche rocciose all’altezza del capo di Lucifero ospitano, con tutta l’evidenza possibile, la punizione esemplare di Niccolò Apostata e di Maometto. L’Inferno roccioso spalanca le sue caverne e i suoi canyon per accogliere i seguaci dei vizi capitali.

Un diavolo dalle fattezze di un asino indolente sventola lo stendardo dell’Accidia su uno stuolo di dannati accovacciati a terra e resi impotenti dai diavoli con legacci fatti di serpentelli.

Gli orsi, famosi per la loro aggressività, puniscono il peccato dell’Ira. Gli iracondi mostrano i loro scatti di violenza, si mordono le mani, si azzuffano tirandosi i capelli, aggrediscono i loro vicini, ma sono inesorabilmente azzannati e brutalizzati da demoni teriomorfi.

Uno spazio ampio è destinato alla punizione dell’Avarizia. Un treppiede sul fuoco regge un crogiolo dove un diavolo versa un sacchetto di monete destinate alla fusione. Ad esso altri diavoli attingono con mestoli, imbuti e cucchiai per poi far ingurgitare a forza il metallo fuso ad avari e usurai. Un diavolo cinocefalo (il cane simboleggia tradizionalmente l’avarizia) e con un serpente arrotolato sulla testa si accanisce su un avaro che tentava di nascondersi strappandogli la lingua con una tenaglia. Un altro diavolo infila un picchetto nell’occhio di un dannato accecandolo a martellate.

Segue la punizione dell’Invidia. Qui sono quei peccatori che con i loro giudizi malevoli hanno distrutto la fama degli onesti e con le velenose punture di spillo delle loro cattiverie hanno gettato fango sulle persone buone. La punizione consiste in frecce appuntite scagliate dagli archi e dalle balestre dei diavoli e nelle punte dei forconi che tormentano i viziosi.

Una caverna è destinata alla punizione del peccato di Gola. Un diavolo immobilizza a terra una donna con un ginocchio sul seno, la costringe ad aprire la bocca soffocandola con una mano sul collo e le infilza nella gola la punta di uno spiedo gocciolante di leccornie. Un cardinale bramoso si lancia su un pollo arrosto e si infilza l’occhio sul corno del diavolo. Un diavolo punisce con il supplizio di Tantalo due religiosi tonsurati. Due lupi voraci piantano succulenti spiedini nella gola di due peccatori immobilizzati alle spalle da un diavolo. Un dannato è costretto a ingoiare un boccone repellente. Tra i dannati compare anche la mitria di un vescovo.

L’ultima bolgia punisce il peccato di Lussuria. Un diavolo punisce sul fuoco un sodomita impalandolo su uno spiedone che gli entra nell’ano e fuoriesce dalla bocca di fronte al viso irridente di un diavolo-treppiede. Nobili adulteri avvinti ancora dall’ardore della loro passione per donne glamour sono morsi dai serpenti, fustigati e scottati da ferri arroventati. Un diavolo dà una ginocchiata ai genitali di un vecchio vizioso facendolo urlare dal dolore.


Contrasta decisamente con la violenza delle pene infernali la visione serena e geometricamente perfetta del Paradiso. Un varco nel cielo a forma di mandorla, circondato dall’iride della nuova alleanza e sfolgorante di raggi di luce, mostra la scena del Figlio che incorona la Madre alla presenza dell’anziano Dio Padre con mitria e stola incrociata sul petto. Fanno corona a questa immagine trinitaria i nove cori degli angeli: le teste dei Serafini vicini al trono divino, le fiammeggianti ali dei Cherubini, i Troni, le Potestà, le Dominazioni, le Virtù, i Principati, gli Angeli e gli Arcangeli.

La comunione dei Santi è resa con una grande aula curiale gremita di figure ieratiche sedute su lunghe panche disposte diagonalmente ai piedi della Trinità. Gli occhi dei beati sono rivolti al Cielo, ma non manca qualche viso incuriosito che si rivolge verso lo spettatore. Il primo posto è assegnato al patriarca Abramo che, con le anime dei giusti raccolte nel grembo, simboleggia tradizionalmente lo stesso paradiso. Di fronte siede Mosè con le tavole dei dieci comandamenti. Dietro Abramo siede Giovanni il Battista che apre la schiera dei Profeti, individuati da cartigli (ben leggibile quello del profeta Giona). Sugli scranni siedono poi gli Apostoli, contraddistinti dai loro simboli tradizionali: Pietro con le chiavi del Regno, Andrea con la croce del martirio, Giacomo con il bastone da pellegrino, Giovanni con la penna dello scrittore. Segue la schiera dei Martiri aperta da Santo Stefano il protomartire. Dietro di loro i Dottori della Chiesa, i Confessori e i Santi fondatori di Ordini religiosi, le gerarchie ecclesiastiche, i religiosi e le religiose, le donne sante. Chiudono il coro Sant’Orsola con lo stendardo a capo delle sue undicimila sorelle e l’immenso popolo dei santi e delle sante di Dio.


In posizione baricentrica tra i due regni si colloca l'arcangelo Michele con i suoi tradizionali attributi: la corazza e la spada di condottiero delle milizie celesti, la bilancia a doppio piatto per la pesatura delle opere buone e cattive dei risorti nel giorno del giudizio universale. Il richiamo all’estremo giudizio è presente sull’arco d’ingresso dove appare Cristo con le braccia distese rivolte ai risorti, in mezzo agli angeli che separano gli eletti dai reprobi.

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